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Corte costituzionale 12 maggio 2016 n. 107

cortecosCorte costituzionale 12 maggio 2016 n. 107: Pres. Grossi est. Carosi;

Presidenza del Consiglio dei ministri (avv. Stato, Mangia) c. Regione Molise (avv. Galasso e Angiolini), con nota di Pelino Santoro.

L’indirizzo della subentrata legislazione statale, che consente di ripianare in non più di 30 esercizi a quote costanti il maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato dal riaccertamento straordinario dei residui (art. 3, comma 16, D.lgs n. 118/2011), prende in sostanza le mosse dal presupposto che in una fase di complesse operazioni di riaccertamento dei residui finalizzate a far emergere la reale situazione finanziaria delle Regioni, i disavanzi emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio ma richiedano inevitabilmente misure di più ampio respiro temporale. Ciò anche al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni della Regione in ossequio al «principio di continuità dei servizi di rilevanza sociale affidati all’ente territoriale, che deve essere salvaguardato.

La sopravvenuta normativa, proprio in quanto rivolta ai disavanzi riferiti a passate gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti al 1° gennaio 2015, ha implicita valenza retroattiva, poiché viene di fatto a colmare l’assenza di previsioni specifiche che caratterizzava il contesto normativo nel quale si è trovata ad operare la Regione Molise nel dicembre 2014, ed in conseguenza non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Molise 22 dicembre 2014, n. 25 (assestamento del bilancio) che dispone il riassorbimento in dieci anni del disavanzo del 2013.

Assorbimento pluriennale del disavanzo di esercizio delle regioni e proiezione sui futuri equilibri
di Pelino Santoro, Presidente on. della Corte dei conti

1 – La vicenda
Con questa terza pronuncia la Corte costituzionale chiude la vicenda della situazione di grave squilibrio finanziario della Regione Molise, emersa a seguito della declaratoria di incostituzionalità della legge di approvazione bilancio consuntivo del 2012 e della legge di approvazione del bilancio preventivo del 2013.
Con una prima pronuncia era stato dichiarato incostituzionale il rendiconto generale per l’esercizio finanziario 2011 per sovradimensionamento dei residui attivi; con una seconda pronuncia veniva dichiarata l’incostituzionalità della legge approvativa del bilancio preventivo.
Con la presente pronuncia, chiudendo la trilogia, la Corte costituzionale riconosce la legittimità dell’operazione di ripiano decennale approvata con la legge di assestamento, in quanto atto necessitato essendo la Regione tenuta a dare attuazione alle indicazioni della stessa Corte (sent. n. 266/2013) di ripristinare l’equilibrio di bilancio, mediante doverose e appropriate misure, nel rispetto del principio di priorità dell’impiego delle risorse.

2 – le motivazioni
La Corte, pur criticando la mancato tempestiva ottemperanza all’obbligo di ripristino dell’equilibrio di bilancio, prende atto che solo dopo l‘operato riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, peraltro limitato agli esercizi 2011, 2012 e 2013, è emerso, in luogo del precedente risultato attivo già oggetto delle due declaratorie di incostituzionalità, un disavanzo straordinario derivante dal saldo negativo frutto della revisione dei residui attivi e passivi, pari ad euro 60.423.952,35 e che, quindi, per effetto di tale straordinaria risultanza, si rendeva necessaria una variazione del bilancio di previsione 2014, che non poteva che configurarsi come manovra di carattere pluriennale.
La Regione Molise, quindi, ha cercato di rimediare in qualche modo all’impossibilità di coprire integralmente il deficit così manifestatosi, ponendosi comunque nel solco degli indirizzi legislativi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica non ancora vigenti ma già conosciuti al momento dell’adozione della legge regionale impugnata.
Innanzitutto la Consulta schiva lo scoglio dell’art. 81 Cost, trovando non fondate le censure del Governo né in riferimento all’art. 81, terzo comma, né in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 15 del d.lgs. n. 76 del 2000, poiché è parsa erronea l’individuazione della norma interposta, la quale si riferiva a fattispecie assolutamente diverse; si sottolinea, peraltro, che l’applicazione dell’art. 15 nel senso preteso dal ricorrente porterebbe addirittura a un aggravio del disequilibrio, annullando l’effetto migliorativo, sia pure limitato nella dimensione, dell’accantonamento delle somme non spese ma autorizzate dalla legge di bilancio del 2014.
Quanto al parametro dell’art. 81, terzo comma, Cost., a parte la mancata prova del denunciato disequilibrio, viene evidenziato che l’accantonamento di una parte sia pur marginale di risorse altrimenti destinate alla spesa dell’esercizio 2014, produce comunque un intervento riduttivo del disavanzo ed un conseguente effetto migliorativo rispetto al reale assetto economico-finanziario configurato dal coevo bilancio di previsione.
La Corte, avrebbe potuto fermarsi qui per respingere il ricorso governativo, ma va oltre e, guardando alla sostanza della questione sollevata, prova a dare una base giuridica all’operazione, riconoscendo che la normativa sopravvenuta che autorizza le regioni a ripianare l’eventuale maggiore disavanzo di amministrazione (al 1° gennaio 2015), determinato dal riaccertamento straordinario dei residui, dapprima per una quota pari almeno al 10 per cento l’anno e poi non più di 30 esercizi a quote costanti, riconoscendo che in definitiva la sopravvenuta normativa, proprio in quanto rivolta ai disavanzi riferiti a passate gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti viene di fatto a colmare – in modo sostanzialmente coerente con la disposizione impugnata – l’assenza di previsioni specifiche che caratterizzava il contesto normativo al 1 gennaio 2015, ha implicita valenza retroattiva, poiché viene di fatto a colmare l’assenza di previsioni specifiche che caratterizzava il contesto normativo nel quale si è trovata ad operare la Regione nel dicembre 2014.
La Corte giustifica l’operazione di diluizione nel tempo in base al presupposto che razionalmente i disavanzi emersi non potessero essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio ma richiedano inevitabilmente misure di più ampio respiro temporale, anche al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni della Regione in ossequio al «principio di continuità dei servizi di rilevanza sociale affidati all’ente territoriale, che deve essere] salvaguardato.
Viene in tal modo giustificato una sorta di autofinanziamento del disavanzo (si potrebbe dire uno swap di bilancio) spalmato nel tempo con incidenza sui futuri bilanci, i quali, però, perdono di flessibilità, restando (come sul dirsi) “ingessati”, in rapporto alla quota annualmente vincolata all’assorbimento del disavanzo precedente, tanto più se la quota del disavanzo ordinario si cumula con quella per le restituzione delle anticipazioni di liquidità (c.d. extra deficit), con il rischio di innescare una sorta squilibrio finanziario intergenerazionale.
Riteniamo, tuttavia, che si sia avallata una soluzione finanziariamente superficiale, che però non risolve in radice il problema della conciliazione dell’esigenza di pervenire all’approvazione di bilanci in pareggio con la problematica dei disavanzi pregressi e dell’indebitamento indotto a futura memoria.

3 – Le censure nascoste ma non troppo
Tra le righe della pronuncia, che dichiara formalmente d non fondata la questione di legittimità costituzionale promossa, in via principale, dal Presidente del Consiglio dei ministri, è dato cogliere accenni critici di notevole rilievo non solo nei confronti della Regione ma anche, e soprattutto, nei confronti dello Stato.
Alla regione si addebita:
– il notevole ritardo con cui si è dato avvio alle variazioni di riequilbrio riferite al bilancio 2013;
– la non immediata ottemperanza ai due giudicati costituzionali, i quali vietavano, da un lato, di contabilizzare nel rendiconto crediti non provati e, dall’altro, di applicare un avanzo di amministrazione presunto (assolutamente incongruente con la grave situazione debitoria del servizio sanitario regionale, ufficialmente sancita dalla sottoposizione al piano di rientro sanitario);
– il non tempestivo avvio del piano straordinario di riaccertamento dei residui che ha richiesto anche l’intervento ispettivo del MEF;
– le reiterate pratiche adottate negli esercizi precedenti in pregiudizio al principio dell’equilibrio di bilancio.
– la doverosità del rispetto del principio di priorità dell’impiego delle risorse disponibili per le spese obbligatorie e, comunque, per le obbligazioni perfezionate, in scadenza o scadute obbligazioni perfezionate, in scadenza o scadute (sentenza n. 250 del 2013).
I rilievi mossi allo Stato riguardano:
– la prolungata sostanziale assenza di disposizioni specifiche;
– la carenza di tempestiva vigilanza nei confronti delle consolidate prassi patologiche di alcuni enti territoriali;
– la complessiva eccentricità delle rateizzazioni del deficit rispetto alle regole del pareggio di bilancio;
– la mancata continuità della vigilanza dello Stato, custode della finanza pubblica allargata;
– l’aver consentito di approvare bilanci di previsione e rendiconti fondati sull’applicazione di crediti non accertati nelle forme di legge e di avanzi di amministrazione,
– la mancata impugnazione della legge di approvazione del bilancio di previsione 2014, così consentendo alla Regione Molise non solo la spendita di tutte le risorse disponibili, senza il riequilibrio tendenziale del pregresso, ma anche l’ulteriore ampliamento della spesa per la quota dell’avanzo di amministrazione presunto, con un ulteriore pregiudizio all’equilibrio complessivo del bilancio regionale.

4 – Il piano di rientro dai disavanzi delle Regioni
Le Regioni, in base alla disciplina generale dell’art. 42, comma 12, D.lgs n. 118/2011, avevano l’obbligo di applicare l’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto al primo esercizio del bilancio di previsione dell’esercizio in corso di gestione; la mancata variazione di bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al bilancio era equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione poteva anche essere ripianato negli esercizi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale.
L’art. 9 comma 5 del D.L. n. 76/2015 conv. L. n. 125/2015, in deroga a detta disciplina generale, ha consentito alle Regioni di rateizzare in sette anni il ripiano a quote costanti dei disavanzi al 31 dicembre 2014, con apposita delibera consiliare avente a oggetto il piano di rientro dal disavanzo, sottoposto al parere del collegio dei revisori, nel quale sono individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio; la durata del ripiano è stata poi estesa (art. 1, comma 691, L stabilità n. 208/2015) sino a dieci anni, ferma restando la maggior durata della rateizzazione della restituzione delle anticipazioni di liquidità.
In concreto non esiste, per il momento per le Regioni una specifica procedura di dissesto con accesso a fondi straordinari, come per gli enti locali; era stato ipotizzato e descritta la fattispecie di grave dissesto finanziario, limitatamente al disavanzo sanitario, che costituiva grave violazione di legge, ai sensi e agli effetti dell’articolo 126, comma primo, della Costituzione (art. 2, commi 1 e 2, D.lgs n. 149/2011, ma la disposizione venne giudicata incostituzionale; rimante tuttavia inattuata la previsione dell’art. 17 lett. e, ultima parte, secondo cui tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.
Il testo di riforma costituzionale, approvato definitivamente dal Parlamento, ma in attesa di validazione referendaria (in G.U. n. 88 del 15-4-2016), integra l’art. 120 comma 2, aggiungendo che la legge “stabilisce i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente”.

5 – Il pareggio sempre più virtuale
Mentre prima si tendeva a realizzare un equilibro fittizio massimizzando le previsioni di entrata ed i residui attivi, le nuove disposizioni sembrano inaugurare una nova tecnica imperniata sulla minimizzazione all’attualità della incidenza riflessa del disavanzo man mano che si accerta, sicché la dinamica dell’equilibrio si proietta artificiosamente nel futuro, consentendo di alleggerire quello presente.
L’aggravante è che mentre la tecnica precedente traeva origine da un mascheramento artificioso volontario ora il superamento del pareggio è autorizzato dal legislatore.
In buona sostanza la tecnica derogatoria del ripiano decennale o trentennale (per le anticipazioni di liquidità) consente di eludere la stessa ratio del piano di rientro dal disavanzo (art. 42, commi 12 e 13, D.lgs n. 118/2011) che imporrebbe di individuare i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio con l’impegno formale di evitare la formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo.
In conseguenza il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, che, secondo la Corte costituzionale (sent. n. 213/2008 e n. 250/2013), rappresenta un precetto dinamico della gestione finanziaria consistente nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche, subisce di fatto una lunga pausa e rischia di innescare un perverso meccanismo incrementale del disavanzo.

6 – Il convitato di pietra
Nel dialogo a tre voci per trovare un rimedio di sostenibilità giuridica del piano di rientro dall’accertato disavanzi finanziario della Regione manca un interlocutore istituzionale che pure ha la funzione di esaminare e validare i bilanci regionali, che, tuttavia, non faceva parte formalmente della partita giocata per lo scrutinio per lo scrutinio di costituzionalità della legge si assestamento annuale con ripiano del disavanzo, di notevole entità, accertato per lo 2013.
Ci riferiamo alla Sezione regionale della Corte dei conti che ha parificato i rendiconti generali della Regione Molise per gli anni finanziari 2013 e 2014.
In una nota di commento congiunto alle due indicate pronunce e della Corte costituzionale avevamo prospettato le possibili interrelazioni tra giudizio di parifica e giudizio di costituzionalità e degli effetti delle accertate irregolarità del rendiconto; in particolare, prendendo a riferimento le indicazioni della Corte costituzionale avevamo sottolineato come il principio di continuità della gestione finanziaria e lo stretto collegamento del susseguirsi l’una all’altra, comportasse che nessuna risorsa di precedenti esercizi può essere utilizzata, senza la previa verifica della sua disponibilità giuridica e contabile in sede di approvazione del bilancio consuntivo; e che tale regola semplice, enunciata in occasione dello scrutinio di una legge regionale di stabilità, resta a maggior ragione valida quando oggetto di verifica è un bilancio consuntivo che annoveri tra le risorse componenti il risultato d’esercizio partite di entrata (residui attivi) giudicate inattendibili, soprattutto se le stesse poste attive siano riprese del successivo bilancio preventivo, in ragione dell’evidente imprescindibile connessione tra il risultato del consuntivo e la conseguente contabilizzazione dell’avanzo di amministrazione; il principio di continuità del bilancio, infatti, è essenziale per garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
Di tali ammonimenti non si è fatto tesoro e perciò la Consulta ha ritenuto fattibile, perché necessitata e imprescindibile, una sanatoria tardiva, giustificandola con la carenza di una normativa specifica, ma non ha mancato di redarguire il ritardo e la mancata vigilanza che ha consentito l’incremento del disavanzo (passato da 12 a 60 milioni circa) anche per omessa vigilanza degli organi e delle istituzioni custodi degli equilibri di finanza pubblica.

7 – Epilogo
La pronuncia è importante non tanto per il salvataggio de facto, speriamo temporaneo, di una disciplina di ripiano dettata dall’emergenza e purtuttavia definita “complessivamente eccentrica rispetto alle regole del pareggio di bilancio”, quanto per gli ammonimenti che si celano dietro i numerosi appunti critici in fatto di ritardi e di omissione della dovuta vigilanza, di cui le istituzioni competenti, tra cui la Corte dei conti (non menzionata), dovranno tenere debito conto.
Andrebbero, pertanto, sfruttate a fondo le potenzialità della parificazione il cui esito accertativo si conclude con una misura di conformazione diretta (parifica o non parifica) e non in un mero obbligo di adozione delle necessarie misure correttive, potenziata dalla peculiarità di intervenire ex ante prima ancora che il documento diventi legge.
La pronuncia interpreta il diritto vivente e ritiene, giustamente, immune da vizi di costituzionalità la legge regionale di assestamento che ha forzato i tempi, anticipandoli, nella nuova normativa generale sopravvenuta, che consente la rateizzazione del piano di rientro dal disavanzo ordinario.
Il vero problema, però, è se l’introdotta normativa statale sia compatibile con il principio costituzionale del principio di equilbrio anche in termini di coerenza con le regole della competenza finanziaria potenziata, considerato che il triennio successivo per il doveroso recupero del saldo negativo del rendiconto (art. 9 comma 2. L. 243/2012) sembra(va), per le Regioni, un limite inderogabile e immodificabile.
La pagina resta, quindi, aperta ed è prevedibile che la questione sarà oggetto di nuovo scrutinio da parte della Corte costituzionale e, con molta probabilità, di attento esame da parte della Commissione U. E.. nella misura in cui la fenomenologia della rateizzazione del disavanzo mascheri la situazione effettiva alterando, a livello nazionale, o parametri di equilibrio.
Questa disciplina, infatti, non era sub iudice anche perché il parametro dell’art 81 Cost. (comma terzo) era stato invocato sotto il profilo della copertura finanziaria, mentre non era stato dedotto il parametro costituzionale dell’art. 97 Cost., come modificato dalla L. cost. 10 aprile 2012 n. 1, che in premessa esige che ”le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea assicurano l’equilbrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico”, quale (micro)contributo di ciascuna di esse al sostegno dell’equilbrio complessivo della finanza pubblica.
Immaginiamo, per un momento, che a livello locale tutte le Regioni adottino il meccanismo autorizzato non solo per gli extra deficit straordinari, ma per i disavanzi gestionali annuali e ripetano di volta in volta e che l’operazione si ripeta: verrebbe disatteso il principio del concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al mantenimento di finanze sane ed in equilbrio che è implicito nella previsione del novellato art. 119, primo comma Cost. e meglio esplicato nell’art. 3, comma 1 della legge di attuazione del principio del pareggio 14 dicembre 2012 n. 243; secondo la legge di stabilità per il 2016, in coerenza con l’entrata a regime della L. n. 243/2011, il vincolo costituzionale dell’equilibrio di bilancio, è inteso come saldo non negativo, in termini di competenza (e di cassa), tra le entrate finali e le spese finali (art. 1, commi. 709 e 710, l. n. 208/2015).
E’ appena il caso di ricordare, a riguardo, che la Corte costituzionale, nello scrutinare la menzionala legge n. 243/2012, ha tra altro, affermato che le disposizioni sul delle Regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico, nella loro complementarità, trovano la ragion d’essere in quel complesso di principi costituzionali di solidarietà e di eguaglianza, alla cui stregua tutte le autonomie territoriali, e in definitiva tutti i cittadini, devono, anche nella ricordata ottica di equità intergenerazionale, essere coinvolti nei sacrifici necessari per garantire la sostenibilità del debito pubblico.
Quanto alla dimensione temporale dell’equilibrio finanziario è oramai pacifico che il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio rappresenta un precetto dinamico della gestione finanziaria e consiste nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche; in siffatto quadro, così come appare evidente che la copertura di spese mediante crediti futuri, lede il suddetto principio costituzionale ed è tanto più irrazionale quanto più si riferisce a crediti futuri, lontani nel tempo, deve convenirsi che è altrettanto anomalo trovare un’implicita copertura di un disavanzo concreto e attuale nelle pieghe dei bilanci futuri, riducendone pro quota la massa gestibile, con probabile ricaduta sulla spesa per servizi di ordine sociale; l’equilibrio (o pareggio) espresso con formula algebrica, infatti, non corrisponde all’equilbrio funzionale inteso come rapporto ottimale tra risorse disponibili e spesa necessaria.
Non essendo immaginabile un ricorso a iniziativa del Governo, occorrerà attendere che un giudice sollevi incidentalmente la questione di legittimità delle leggi statali che hanno legittimato meccanismi elusivi del fondamentale principio di equilibrio nella sua poliedrica valenza.

La sentenza
Omissis

Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato il 24 febbraio 2015, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Molise 22 dicembre 2014, n. 25 (Assestamento di bilancio di previsione della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2014, ai sensi della legge regionale n. 4/2002, articolo 33), sostenendo che detta norma violi gli artt. 81, terzo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 15 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della L. 25 giugno 1999, n. 208).
1.1.– Con la legge regionale n. 25 del 2014 la Regione Molise ha emanato le disposizioni di assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014.
L’art. 6 della suddetta legge, rubricato «Disavanzo di amministrazione alla chiusura dell’esercizio 2013, relativo ad anni pregressi», dispone che «Il disavanzo finanziario alla chiusura dell’esercizio finanziario 2013, pari a euro 60.423.952,35 è riassorbito nell’anno 2014 per euro 2.423.952,35 e nel decennio 2015-2024 con importi annui pari ad euro 5.800.000,00, salvo rideterminazione dello stesso negli anni successivi prossimi».
Ad avviso del ricorrente, con la norma denunciata, la Regione Molise avrebbe ecceduto dalla propria competenza violando l’art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato l’emanazione di norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica. Essa sarebbe contrastante con quanto disposto dall’art. 15 (Assestamento del bilancio) del d.lgs. n. 76 del 2000, secondo cui «Entro il 30 giugno di ogni anno la regione approva con legge l’assestamento del bilancio, mediante il quale si provvede all’aggiornamento degli elementi di cui alla lettera a), del comma 3, dell’articolo 4, ed al comma 5, dello stesso articolo, nonché alle variazioni che si ritengono opportune, fermi restando i vincoli di cui all’articolo 5», il quale stabilisce, a sua volta, che «1. In ciascun bilancio annuale il totale dei pagamenti autorizzati non può essere superiore al totale delle entrate di cui si prevede la riscossione sommato alla presunta giacenza iniziale di cassa. 2. Il totale delle spese di cui si autorizza l’impegno può essere superiore al totale delle entrate che si prevede di accertare nel medesimo esercizio, purché il relativo disavanzo sia coperto da mutui e altre forme di indebitamento autorizzati con la legge di approvazione del bilancio nei limiti di cui all’articolo 23».
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene inoltre violato anche l’art. 81, terzo comma, Cost., laddove dispone che «[o]gni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte». La norma impugnata, nel rinviare ad esercizi successivi al 2014 la copertura del disavanzo finanziario 2013, determinerebbe un ampliamento della capacità di spesa del bilancio 2014, privo di copertura finanziaria.
1.2.– La Regione Molise riferisce che la Giunta regionale con proprie deliberazioni n. 374 del 2013 e n. 6 del 2014 ha disposto un riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi sulle annualità 2011 e 2012. Tale operazione sarebbe avvenuta anche a seguito dei controlli ispettivi predisposti dal Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) relativamente ai dati contabili del periodo 2008-2012, portando alla determinazione di un disavanzo per l’esercizio finanziario 2013 pari a euro 60.423.952,35.
Attraverso le disposizioni di cui all’art. 6 della legge regionale n. 25 del 2014 la Regione avrebbe provveduto a pianificare la copertura del disavanzo dovuto al riaccertamento straordinario dei residui, prevedendone la copertura mediante una quota costante nel bilancio pluriennale 2015-2017 e negli esercizi futuri pari ad euro 5.800.000,00, in modo da evitare il ricorso a mutui che determinerebbero un aggravio dei costi.
Sostiene, pertanto, la resistente che, mediante la legge impugnata avrebbe preso atto della situazione contabile pregressa ed avrebbe tentato di avviare un processo di risanamento della finanza regionale, in un’ottica “giuridico-contabile” e programmatoria, che non potrebbe però esaurirsi in un unico esercizio, sia per la dimensione del disavanzo rispetto alla situazione delle finanze regionali, sia perché esso interviene a valle di un processo ricognitivo di un bilancio già esauritosi.
In tale operazione la Regione Molise avrebbe, inoltre, provveduto a destinare tutte le risorse attive di cui aveva ancora la disponibilità alla copertura del disavanzo finanziario accertato, dettando un ulteriore indirizzo per i successivi atti finanziari.
Viene poi eccepito dalla resistente il diverso comportamento dello Stato in analoghe situazioni regionali, come quella della Regione Piemonte in cui l’art. 3 della legge regionale 1° dicembre 2014, n. 19 (Assestamento al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2014 e disposizioni finanziarie), non sarebbe stato impugnato.
2.– La questione promossa con il presente ricorso ha un rapporto di stretta pregiudizialità con due precedenti pronunce di questa Corte, adottate anch’esse nell’ambito di giudizi promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Con sentenza n. 138 del 2013 questa Corte dichiarava illegittima la legge di approvazione del rendiconto 2011 della Regione Molise nella parte inerente alla contabilizzazione di crediti privi di accertamento giuridico per una somma complessiva pari ad euro 1.286.613.416,17. Ciò per l’assenza «dei requisiti minimi dell’accertamento contabile quali la ragione del credito, il titolo giuridico, il soggetto debitore, l’entità del credito e la sua scadenza» (sentenza n. 138 del 2013). L’iscrizione in parte entrata di detti crediti consentiva, tra l’altro, l’anomala risultanza di un avanzo di amministrazione in una Regione già da anni caratterizzata da un vincolante piano di rientro afferente al dissesto della spesa sanitaria.
Successivamente, con sentenza n. 266 del 2013 questa Corte dichiarava illegittima la legge di approvazione del bilancio di previsione 2013 della Regione Molise nella parte in cui veniva applicato un avanzo di amministrazione presunto pari ad euro 1.418.610,01. Veniva in quella sede precisato che «è il collegamento teleologico di dette poste contabili [finalizzato ad allargare la spesa autorizzabile oltre le entrate suscettibili di accertamento] a rendere il bilancio dell’esercizio 2013 privo di equilibrio nel suo complesso, poiché determina “il sovradimensionamento della spesa rispetto alle risorse effettivamente disponibili” […] (sentenza n. 250 del 2013)». È stato conseguentemente affermato che, in base al principio dell’equilibrio tendenziale, la Regione Molise era tenuta al ripristino dell’equilibrio di bilancio, pregiudicato dall’iscrizione di una parte attiva insussistente, attraverso le modalità previste dalla legge in caso di accertato squilibrio dello stesso: «Anche per la Regione Molise vale dunque – considerato il “difetto genetico conseguente all’impostazione della stessa legge di bilancio” – la doverosità dell’adozione di “appropriate variazioni del bilancio di previsione, in ordine alla cui concreta configurazione permane la discrezionalità dell’amministrazione nel rispetto del principio di priorità dell’impiego delle risorse disponibili per le spese obbligatorie e, comunque, per le obbligazioni perfezionate, in scadenza o scadute” (sentenza n. 250 del 2013). Peraltro, come già questa Corte ha recentemente precisato, la limitazione della declaratoria d’incostituzionalità dell’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto alle sole partite di spesa oggetto del ricorso non esonera la Regione dal concreto perseguimento dell’equilibrio del bilancio (sentenza n. 250 del 2013)» (sentenza n. 266 del 2013).
La Regione Molise non ha conferito immediata ottemperanza ai due giudicati costituzionali, i quali vietavano, da un lato, di contabilizzare nel rendiconto crediti non provati e, dall’altro, di applicare un avanzo di amministrazione presunto (assolutamente incongruente con la grave situazione debitoria del servizio sanitario regionale, ufficialmente sancita dalla sottoposizione al piano di rientro sanitario).
Peraltro, la legge di approvazione del bilancio di previsione 2014 (di cui la norma in questa sede impugnata costituisce sostanzialmente una variazione), oltre a non ottemperare all’obbligo di riequilibrio precedentemente sancito dalla Corte costituzionale, prevedeva l’applicazione di un ulteriore avanzo di amministrazione presunto, sia pure di entità assai minore di quello del precedente esercizio censurato con la sentenza n. 266 del 2013. Lo Stato, tuttavia, non impugnava – a differenza dell’esercizio precedente – la legge di approvazione del bilancio di previsione 2014, così consentendo alla Regione Molise non solo la spendita di tutte le risorse disponibili, senza il riequilibrio tendenziale del pregresso, ma anche l’ulteriore ampliamento della spesa per la quota dell’avanzo di amministrazione presunto. Veniva così a riprodursi, anzi, ad incrementarsi, un ulteriore pregiudizio all’equilibrio complessivo del bilancio regionale.
In corso di anno, tuttavia, la Regione ha provveduto alle operazioni di revisione contabile, utili a far emergere la vera dimensione economica dei risultati pregressi. In tal modo – anche per effetto dell’intervento ispettivo del MEF – è stato posto in essere un riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, peraltro limitato agli esercizi 2011, 2012 e 2013.
Tale operazione faceva emergere, in luogo del precedente risultato attivo già oggetto delle due declaratorie di incostituzionalità, un disavanzo straordinario derivante dal saldo negativo frutto della revisione dei residui attivi e passivi, pari ad euro 60.423.952,35.
A seguito di tale straordinaria risultanza, si rendeva necessaria una variazione del bilancio di previsione 2014 (che, per i motivi successivamente precisati, non poteva che configurarsi come manovra di carattere pluriennale), la quale – in modo sostanzialmente impreciso – veniva qualificata con lo stesso nomen iuris di quella prevista dall’art. 15 del d.lgs. n. 76 del 2000 (peraltro abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2015 dall’art. 77, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, avente ad oggetto «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42», aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera aa, del decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126, recante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), il quale invece riguardava i doverosi assestamenti che entro il 30 giugno di ciascun anno le Regioni dovevano effettuare per ricostituire l’equilibrio del bilancio di previsione nel caso in cui sopravvenienze successive l’avessero alterato oppure per utilizzare le nuove risorse nel frattempo recuperate.
Nel caso in esame, invece, la variazione di bilancio interveniva in una data e in circostanze non utili ad assicurare un integrale riequilibrio. Infatti, alla data del 22 dicembre 2014 la gestione della spesa preventivamente autorizzata aveva già in parte pregiudicato un’operazione di restauro contabile ed inoltre la situazione iniziale del bilancio di previsione era già priva di equilibrio per i motivi precedentemente richiamati.
La Regione, prendendo atto di una situazione non più emendabile nel suo complesso per effetto della dimensione e della cronologia caratterizzante l’emersione del disavanzo, riteneva di fronteggiarne l’eccezionale misura con una quota, pari ad euro 2.423.952,35, ricavata attraverso le economie realizzate nel corso dell’esercizio 2014, e, per la rimanente somma di 58 milioni di euro, attraverso un accantonamento del 10 per cento della stessa a valere sui 10 successivi esercizi.
3.– Alla luce delle esposte premesse va innanzitutto disattesa l’eccezione della Regione Molise la quale lamenta che analoga questione non sarebbe stata sollevata dallo Stato nei confronti della Regione Piemonte (viene all’uopo citato l’art. 3 della legge della reg. Piemonte n. 19 del 2014), la quale avrebbe adottato identica soluzione normativa in ordine al disavanzo emergente dalla straordinaria verifica dei residui. Un’eventuale omissione di tal genere da parte dello Stato non fa sorgere certamente alcuna legittima aspettativa di analogo trattamento a favore della ricorrente.
È stato più volte affermato da questa Corte che lo Stato è direttamente responsabile del «rispetto delle regole di convergenza e di stabilità dei conti pubblici, regole provenienti sia dall’ordinamento comunitario che da quello nazionale. [Ne deriva], tra l’altro, che, ai fini del concorso degli enti territoriali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, [lo Stato deve vigilare affinché] il disavanzo di ciascun ente territoriale non […] super[i] determinati limiti, fissati dalle leggi finanziarie e di stabilità che si sono succedute a partire dal 2002 (ex multis sentenza, di questa Corte, n. 36 del 2004)» (sentenza n. 138 del 2013).
È vero tuttavia che nel suo compito di custode della finanza pubblica allargata lo Stato deve tenere comportamenti imparziali e coerenti per evitare che eventuali patologie nella legislazione e nella gestione dei bilanci da parte delle autonomie territoriali possa riverberarsi in senso negativo sugli equilibri complessivi della finanza pubblica. In proposito, questa Corte ha già precisato che il coordinamento degli enti territoriali deve essere improntato a «canoni di ragionevolezza e di imparzialità nei confronti dei soggetti chiamati a concorrere alla dimensione complessiva della manovra [di finanza pubblica]» (sentenza n. 19 del 2015).
Sebbene il ricorso in via di azione sia connotato da un forte grado di discrezionalità politica che ne consente – a differenza dei giudizi incidentali – la piena disponibilità da parte dei soggetti ricorrenti e resistenti, l’esercizio dell’impulso giurisdizionale al controllo di legittimità delle leggi finanziarie regionali non può non essere improntato alla assoluta imparzialità, trasparenza e coerenza dei comportamenti di fronte ad analoghe patologiche circostanze caratterizzanti i bilanci degli enti stessi. In tale caso, infatti, la tutela degli equilibri finanziari dei singoli enti pubblici di cui all’art. 97, primo comma, Cost. si riverbera direttamente sulla più generale tutela degli equilibri della finanza pubblica allargata, in relazione ai quali la situazione delle singole amministrazioni assume la veste di fattore determinante degli equilibri stessi.
4.– Ciò premesso, le censure formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri non sono fondate né in riferimento all’art. 81, terzo comma, né in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 15 del d.lgs. n. 76 del 2000.
4.1.– In relazione al secondo parametro risulta erronea, per quanto in precedenza precisato, l’individuazione della norma interposta, la quale si riferiva a fattispecie assolutamente diversa.
Questa Corte ha affermato in più occasioni che la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. può avvenire attraverso norme interposte solo nel caso in cui le stesse «siano idonee a specificare, nel caso concreto, l’operatività [delle regole in esse contenute]» (ex plurimis, sentenza n. 138 del 2013). Nel caso di specie, invece, la eventuale operatività sarebbe proprio nel senso contrario al perseguimento dell’equilibrio tendenziale di bilancio poiché l’applicazione dell’art. 15 nel senso preteso dal ricorrente porterebbe addirittura ad un aggravio del disequilibrio, annullando l’effetto migliorativo, sia pure limitato nella dimensione, dell’accantonamento delle somme non spese ma autorizzate dalla legge della Regione Molise 18 aprile 2014, n. 12 (Bilancio regionale di competenza e di cassa per l’esercizio finanziario 2014. Bilancio pluriennale 2014/2016), non impugnata – a differenza di quella dell’anno precedente – dallo Stato.
In tale contesto deve effettivamente prendersi atto che la vigilanza dello Stato nei confronti delle pratiche contabili adottate dalla Regione Molise e da altre Regioni caratterizzate da situazioni critiche non è stata continua nel tempo, dal momento che per più esercizi consecutivi – anche dopo l’adozione di piani di rientro sanitario – è stato consentito alle stesse di approvare bilanci di previsione e rendiconti fondati sull’applicazione di crediti non accertati nelle forme di legge e di avanzi di amministrazione.
In definitiva, anche per effetto delle reiterate pratiche adottate negli esercizi precedenti in pregiudizio al principio dell’equilibrio di bilancio, la Regione Molise, come altre Regioni caratterizzate da analoghe situazioni finanziarie, si è venuta a trovare – dopo la tardiva ma doverosa operazione di riaccertamento dei residui attivi e passivi – in un contesto di sostanziale assenza di disposizioni specifiche (non essendo certamente prevedibile, al momento dell’emanazione della legislazione quadro contenuta nel d.lgs n. 76 del 2000, che la ripetuta adozione di simili prassi contabili fosse consentita e provocasse una tale emergenza).
È così accaduto che, una volta effettuata la revisione dei residui ed accertato il disavanzo precedentemente sommerso, la Regione Molise abbia cercato di rimediare in qualche modo all’impossibilità di coprire integralmente il deficit così manifestatosi, ponendosi comunque nel solco degli indirizzi legislativi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica non ancora vigenti ma già conosciuti al momento dell’adozione della legge regionale impugnata.
Infatti non era ancora entrato in vigore, per effetto della clausola dilatoria contenuta nell’art. 80 del d.lgs. n. 118 del 2011, l’art. 1, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 126 del 2014, il quale, nel sostituire l’art. 3 del predetto decreto n. 118 del 2011, stabiliva al comma 16 che «[…] l’eventuale maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato dal riaccertamento straordinario dei residui […] è ripianato per una quota pari almeno al 10 per cento l’anno».
Successivamente, l’art. 1, comma 538, lettera b), numero 1), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2015), ha modificato ulteriormente detta disposizione con effetto dal 1° gennaio 2015, nel senso che «[…] l’eventuale maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato dal riaccertamento straordinario dei residui […] è ripianato in non più di 30 esercizi a quote costanti».
Le citate disposizioni – pur nella complessiva eccentricità rispetto alle regole del pareggio di bilancio – denotano l’esigenza dello Stato di fronteggiare un problema non circoscritto alla sola Regione Molise.
L’indirizzo della subentrata legislazione statale, in relazione alla quale risulta congruente la disposizione impugnata, prende in sostanza le mosse dal presupposto che in una fase di complesse operazioni di riaccertamento dei residui finalizzate a far emergere la reale situazione finanziaria delle Regioni, i disavanzi emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio ma richiedano inevitabilmente misure di più ampio respiro temporale. Ciò anche al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni della Regione in ossequio al «principio di continuità dei servizi di rilevanza sociale [affidati all’ente territoriale, che deve essere] salvaguardato» (sentenza n. 10 del 2016).
Ferma restando la discrezionalità del legislatore nello scegliere i criteri e le modalità per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quella in esame, non può tuttavia disconoscersi la problematicità di soluzioni normative continuamente mutevoli come quelle precedentemente evidenziate, le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto vasti, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale.
Quanto alla eccezionale dilazione della copertura nel tempo, è utile ricordare che alle evocate disposizioni si sono aggiunte quella relativa alla rateizzazione in sette annualità del deficit derivante dall’applicazione dei nuovi principi contabili – art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, poi estesa sino a dieci annualità per effetto delle modifiche recate dall’art. 1, comma 691, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2016) – e quella (art. 2, comma 3, lettera c), afferente alla rateizzazione del rimborso delle anticipazioni necessarie a fronteggiare il ritardo nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64, che fissa in trent’anni la restituzione delle stesse anticipazioni allo Stato.
Probabilmente una più tempestiva vigilanza nei confronti delle consolidate prassi patologiche di alcuni enti territoriali avrebbe evitato le situazioni di obiettiva emergenza che il legislatore nazionale è stato costretto a fronteggiare con mezzi eccezionali.
4.2.– Quanto alle censure proposte in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., il ricorrente non fornisce alcuna prova del denunciato disequilibrio: al contrario, l’accantonamento, previsto dalla disposizione impugnata, di una parte sia pur marginale di risorse altrimenti destinate alla spesa dell’esercizio 2014, produce comunque un intervento riduttivo del disavanzo ed un conseguente effetto migliorativo rispetto al reale assetto economico-finanziario configurato dal coevo bilancio di previsione. Difatti il disavanzo (seppur latente) già preesisteva ed incombeva: paradossalmente la rimozione della norma impugnata farebbe venire meno le uniche risorse sottratte alla spesa dell’esercizio 2014, lasciandone intatta, nella sostanza, la originaria destinazione.
Ai fini della presente decisione non è irrilevante considerare – come già osservato – l’apporto recato dalle disposizioni sopravvenute le quali, al di là dei profili critici di ordine temporale precedentemente sottolineati, hanno introdotto, per tutte le Regioni interessate da deficit di natura analoga a quello della Regione Molise, modalità di copertura che sono state addirittura estese a trent’anni, ben al di là della soluzione contenuta nella norma regionale impugnata.
In definitiva la sopravvenuta normativa, proprio in quanto rivolta ai disavanzi riferiti a passate gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti al 1° gennaio 2015, ha implicita valenza retroattiva, poiché viene di fatto a colmare – in modo sostanzialmente coerente con la disposizione impugnata – l’assenza di previsioni specifiche che caratterizzava il contesto normativo nel quale si è trovata ad operare la Regione Molise nel dicembre 2014.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Molise 22 dicembre 2014, n. 25 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2014, ai sensi della legge regionale n. 4/2002, articolo 33), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 15 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della L. 25 giugno 1999, n. 208), con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2016.

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