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Il Comune non è tenuto a «dar seguito» alle istanze del privato che chiede la revisione del regolamento

libri diritto

dell’Avv. Paola Maria Zerman
(Fonte: Il sole24ore)

Non sempre le istanze rivolte dai cittadini alla Pa, nell’ambito delle proprie aspettative o nell’esercizio del diritto di critica, collaborazione o denuncia, hanno un effettivo fondamento e devono avere esplicita risposta. Con la possibilità, in caso di prolungato silenzio, di chiedere la condanna della Pa a pronunciarsi sulle stesse e, ove ne ricorrano i requisiti, al risarcimento del danno (con le conseguenti responsabilità amministrativo-contabili del dirigente e/o funzionario responsabili ai sensi dei commi 8 e 9 dell’articolo 2 della legge 241/1990).
La recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V n. 1182 del 9 marzo 2015), si inserisce nell’impegno ricostruttivo della giurisprudenza per indicare quando vi sia l’obbligo per la PA di dare un espresso riscontro all’istanza del privato, con tutte le conseguenze e responsabilità previste dalla legge.

Il dovere di conclusione del procedimento
Se è vero, infatti, che il dovere di conclusione espressa del procedimento è previsto (articolo 2, comma 1, della legge 241) per i casi in cui “il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza” è ormai del tutto pacifico che l’obbligo di provvedere non discende unicamente dalla legge, ma anche, come ricorda la decisione in commento “nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie (…) allorché ragioni di giustizia”  o “di equità impongano l’adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione”  (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza del 12 febbraio 2015, n. 741).

La questione di fondo

Nel caso concreto, relativo alla richiesta rivolta da un taxista al Comune per la revisione del regolamento dei servizi pubblici non di linea con autovettura, e all’emanazione di una circolare esplicativa e ordinanza nei confronti delle associazioni di taxisti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’inerzia del Comune non potesse considerarsi illegittima con conseguente esclusione dell’obbligo di provvedere all’adozione di un provvedimento esplicito e condanna al risarcimento del danno. Non vi è obbligo, afferma la decisione, da parte dell’Amministrazione, di emanare atti a ‘contenuto generale’ rimessi alla scelta discrezionale dell’Amministrazione e rispetto al quale non vi è un interesse qualificato del privato (egualmente Consiglio di Stato, n. 1349 del 2013, aveva escluso l’obbligo a provvedere su un’istanza del privato diretta alla variazione del piano urbanistico).

Quando vi è l’obbligo di provvedere da parte della PA

Dato per pacifico che l’obbligo di provvedere a carico della PA possa nascere anche in assenza di una norma che consenta espressamente al privato di presentare una istanza all’Amministrazione, la giurisprudenza si è assunta il delicato compito di individuare i concreti confini tra la tutela dell’azione del privato, anche nell’ottica collaborativa di un’amministrazione moderna e trasparente, e quella dell’efficienza della PA che potrebbe essere ancor più compromessa da defatiganti e pretestuose sollecitazioni dei privati.
Escluso l’obbligo di provvedere per istanze o denunce manifestamente infondate,  così come per la richiesta del privato  di riesame da parte della pubblica amministrazione di un atto autoritativo, non impugnato tempestivamente (perché sarebbe elusivo dei termini perentori), la PA è, invece, obbligata a provvedere sull’istanza diretta ad ottenere un provvedimento favorevole, quando chi la presenta sia titolare di un interesse legittimo c.d. pretensivo (es. richiesta di concessione, autorizzazione, sussidio ecc.).
Più problematica è l’ipotesi in cui il privato sollecita l’esercizio di poteri sfavorevoli (repressivi, inibitori, sanzionatori) nei confronti di terzi dai quali può trarre indirettamente vantaggi. Non è sempre agevole, in tal caso, distinguere tra l’istanza che fa nascere l’obbligo di provvedere e il semplice “esposto“, che ha mero valore di denuncia inidonea a radicare una posizione di interesse tutelata dall’apertura del procedimento richiesto.
In tali ipotesi, il criterio distintivo tra istanza (idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero esposto, viene ravvisato nell’esistenza in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività. Si pensi al non raro caso, di denuncia all’autorità da parte di proprietario di un appartamento situato proprio a ridosso della spiaggia in cui è posto un impianto fonico rumoroso e molesto. In tali casi la PA è tenuta a dare seguito alla denuncia, perché il proprietario è titolare di “una situazione di specifico e rilevante interesse, differenziata da quella della generalità dei consociati e tale, pertanto, da radicare in capo all’Amministrazione un obbligo di provvedere sulla relativa istanza” (Consiglio di Stato n. 2318 del 2007).

Le ragioni di giustizia sostanziale

Denunce o richieste di interventi repressivi o sanzionatori comportano l’obbligo della PA di provvedere, anche quando sono riconducibili ad esigenze di “giustizia sostanziale” o “ragionevolezza” e “buona fede”. Così si è ravvisato l’obbligo della PA di dare riscontro al privato che invoca l’esercizio della forza per lo sgombero di un immobile di sua proprietà, non trattandosi non solo di fatto rilevante tra privati, ma “un pericolo per l’igiene, l’ordine e la sicurezza pubblici”. Il proprio bene diventa strumento e occasione in cui si realizza, ad opera di terzi, il turbamento dell’ordine, dell’igiene o dell’incolumità pubblica, con tutta una serie di ipotizzabili effetti negativi (civili, penali e amministrativi), sul piano patrimoniale e morale, per la sua sfera giuridica. (Consiglio di Stato 5601/2014).
Come ben si può intuire, i concetti di “giustizia sostanziale” ragionevolezza e buona fede, sono valori di base, ma dai contorni sfumati e diversamente individuati a seconda della sensibilità dei Giudici che, volta per volta, valutano le denunce di silenzio-inadempimento, con possibilità di risultati opposti.  Vero è che costituiscono, in ogni caso, un efficace strumento attraverso il quale dare spazio e tutela alle più diverse e non tipizzate istanze dei privati. Di fronte alle quali, la sensibilità degli Amministratori della cosa pubblica, ispirata alla logica della trasparenza e collaborazione, può costituire il migliore criterio guida per comprendere quando è doveroso attivarsi anche a fronte di istanze o denunce al di fuori degli schemi normativi-procedimentali.

 

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