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La “compensatio lucri cum damno” nei processi contabili

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La “compensatio lucri cum damno nei processi contabili, alla luce della sentenza 15 gennaio 2016 n. 5 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Sardegna.

di Antonio Vetro, Presidente on. della Corte dei conti

 

L’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20/1994, (nel testo novellato dall’art. 17, comma 30-quater, lett. a, del d.l. n. 78/2009, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c, del d.l. n. 103/2009, convertito in legge n. 102/2009), sancisce che “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.

Con articolo in data 4 marzo 2013, lo scrivente si è già interessato della compensatio lucri cum damno, limitatamente all’individuazione dei criteri per l’accertamento dell’utilitas  per  le pubbliche amministrazioni, in presenza di contratti di appalto nulli o inesistenti. Tali criteri consistono nell’accertamento che i fatti vantaggiosi siano concretamente ravvisabili nell’ambito del medesimo contesto nel quale si è sviluppata la vicenda che ha comportato la produzione del danno erariale ed effettivamente utilizzati dall’amm.ne per il perseguimento dei propri fini istituzionali.

In proposito è stata citata la sentenza n. 110/2006 della Sez. III App., secondo cui sussiste la necessità, ai fini della validità della compensazione, che la stessa si ricolleghi ad un unico fatto genetico, produttivo sia del danno che dei presunti vantaggi: ciò in aderenza, del resto, all’indirizzo prevalente della giurisprudenza secondo la quale i criteri cui il giudice deve attenersi per l’applicazione della norma sui “vantaggi” sono sostanzialmente – pur nella diversità dei due istituti – i medesimi che presiedono alla più generale regola della “compensatio lucri cum damno”: accertamento dell’effettività dell’utilitas conseguita; medesimo fatto generatore determinante sia il danno che il vantaggio in relazione ai comportamenti tenuti; appropriazione dei risultati stessi da parte della pubblica amministrazione che li riconosce; rispondenza della stessa utilitas ai fini istituzionali dell’amministrazione che li riceve. Inoltre, la circostanza che debba “tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti”, induce a ritenere che debba farsi una valutazione obbiettiva dell’esistenza di tali vantaggi, indipendentemente dalle modalità della loro produzione in termini di legittimità.

Sul piano probatorio, il convenuto che eccepisca la mancanza o la minore entità del danno erariale in presenza dei vantaggi conseguiti dall’amm.ne, dovrà dimostrare la loro sussistenza e l’effettiva utilizzazione da parte dell’amm.ne stessa. Nel caso particolare esaminato nell’articolo, oggetto della sentenza n. 141/2013 della Sezione campana, lo scrivente ha ritenuto che, nella valutazione della utilitas per la p.a., occorresse tener conto della insoddisfacente prestazione della controparte, che addirittura rendeva dubbia l’utilità di tale prestazione: in tale situazione, a meno di non giungere al radicale rifiuto di valutazione della utilitas, per evidenti carenze probatorie, si sarebbe dovuto, quanto meno, operare una congrua, notevole riduzione del compenso pattuito.

 

2) La giurisprudenza della Cassazione: dato il rilevante numero di sentenze in materia l’analisi è limitata ad alcune delle più significative.

Sent. S.U. n. 28056 /2008 e Sez. 3 n. 12248/2013. L’effetto della ” compensatio lucri cum damno“, che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio.

Sent. Sez. 6 n. 20111/2014. La compensatio lucri cum damno integra un’eccezione in senso lato, vale a dire non già l’adduzione di un fatto modificativo o impeditivo od estintivo del diritto altrui, ma una mera difesa in ordine all’esatta globale entità del danno effettivamente patito dal danneggiato, entità che resta l’oggetto iniziale della controversia e non è ampliata dalla detta valutazione. Nella determinazione del danno, nella sua esatta entità, il giudice può fare riferimento a tutte le risultanze del giudizio, in virtù sia del principio di acquisizione della prova, sia della circostanza della difesa sul punto svolta dal danneggiato.

Sent. Sez. 3 n. 2112/2000 e n. 992/2014. La richiesta, formulata da chi è chiamato a risarcire il danno, di liquidare lo stesso tenendo conto dei vantaggi che il danneggiato ha ricevuto dal suo illecito non è qualificabile come eccezione in senso proprio e quindi non è soggetto alle preclusioni che valgono per quest’ultime; l’unicità del fatto generatore sia del danno che del vantaggio esclude, infatti, la modificazione della materia del contendere.

 

3) La giurisprudenza della Corte dei conti: per brevità verranno citate solo alcune sentenze, fra le più recenti, specie delle Sezioni d’appello.

Sent. Sez. I app. n. 701/2014. Non è ipotizzabile alcuna compensatio lucri (derivante dallo svolgimento di determinate mansioni) cum damno (consistente nelle relative retribuzioni) in presenza di comportamenti volti scientemente, o comunque negligentemente, a violare disposizioni che intendono preservare la consistenza qualitativa o quantitativa della pianta organica o garantire i tetti programmati della spesa per il personale, in quanto la valutazione della non utilità della spesa, in tali casi, è aprioristicamente stabilita a monte della normativa primaria o secondaria e nell’ambito di tali limiti gli amministratori sono tenuti a muoversi, onde non incorrere in responsabilità amministrativa.

Sent. App. Sicilia n. 469/2014. Quando l’Amministrazione conferisce un incarico sul presupposto del possesso di un titolo di laurea, essa non richiede l’espletamento di un’attività riconducibile a mansioni generiche ma esige che sia resa una prestazione professionale particolarmente qualificata. Ne consegue che la prestazione lavorativa che venga, comunque, resa dal soggetto sfornito del prescritto titolo di studio non può ontologicamente produrre l’utilità che l’Amministrazione aveva preventivato di conseguire in sede di stipula del contratto di lavoro. Pertanto deve ritenersi che il rapporto sinallagmatico sia irrimediabilmente inficiato e che le retribuzioni siano giuridicamente prive di “giusta causa”.

Sent. Sez. Lombarda n. 234/2014. La fattispecie riguarda un danno erariale patito da un Comune per il mancato introito di un credito vantato nei confronti di altro Comune (oltre rivalutazione e interessi) e prescrittosi in quanto non tempestivamente reclamato. Secondo la Sezione, l’interpretazione testuale e logica del chiaro disposto normativo non può che condurre alla piena compensabilità tra danni e vantaggi arrecati anche tra soggetti pubblici distinti. Né vi è prova da parte della Procura di possibili ulteriori danni derivanti, sul piano causale, dal mancato utilizzo del non introitato credito per altre finalità istituzionali.

Sent. Sez. I app. n. 164/2015. Le prestazioni svolte da un dipendente assunto su presentazione di falso titolo di studio comportano un danno risarcibile per l’Amministrazione, non operando al riguardo la compensatio lucri cum damno se non limitatamente alla quota di retribuzione riconducibile a mansioni che, per la loro assoluta genericità e fungibilità, non trovano un essenziale presupposto nel possesso di conoscenze specialistiche.

 

4) In particolare, la sentenza 15 gennaio 2016 n. 5 della Sezione per la Sardegna.

La sentenza merita attenzione per la ricostruzione dell’istituto a partire dalla sua genesi e per le argomentazioni svolte. La questione trattata riguarda il riconoscimento di un debito fuori bilancio da parte di una Provincia, comprensivo di interessi, sanzioni e spese di notifica, in favore di un Comune, derivante da irregolarità nel pagamento dell’ICI, commesse in conseguenza di condotte gravemente colpose.

La Sezione, esaminando preliminarmente l’eccezione difensiva relativa all’inesistenza di un danno risarcibile o, più correttamente, alla compensazione del danno subito dalla Provincia con il connesso vantaggio conseguito dal Comune, ha ricordato che il principio della compensatio lucri cum damno, di origine giurisprudenziale, è stato espressamente codificato nel giudizio di responsabilità amministrativa dall’art. 1, comma 1 bis della legge n. 20/1994, aggiunto dalla legge n. 639/1996, che, nella formulazione originaria, si riferiva ai soli “vantaggi conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata”. Peraltro, secondo un orientamento giurisprudenziale, tale compensazione doveva ritenersi operante anche nell’ipotesi in cui danni e vantaggi fossero riferibili ad amministrazioni diverse, in relazione al concetto di finanza pubblica allargata, mentre altra giurisprudenza escludeva tale ampliamento interpretativo della norma.

La problematica ha subito un’evoluzione alla luce della modifica introdotta dalla legge n. 102/2009, la quale ha espressamente previsto che il giudice contabile debba tenere conto, oltre che dei vantaggi conseguiti dall’amministrazione di appartenenza del convenuto, anche di quelli ottenuti “da altra amministrazione”, così manifestando il chiaro intento del legislatore di fare propria la tesi favorevole all’applicazione estensiva della compensatio. Riguardo agli effetti temporali della modifica, la giurisprudenza si è orientata a riconoscerne l’immediata applicabilità in ragione di una valenza interpretativa, sia pure implicita (Sez. Sicilia, n. 1477/2010, Sez. Lombardia, n. 234/2014), o, in alternativa, processuale (Sez. III app. n. 326/2011). La Sezione sarda ha aggiunto che “deve ritenersi che la disposizione, quand’anche se ne affermasse la natura innovativa e sostanziale, trovi applicazione nel caso in discussione, posto che, sebbene la condotta addebitata al convenuto sia stata tenuta in epoca precedente, l’illecito si è però perfezionato successivamente, con il pagamento, a carico del bilancio della Provincia, delle somme contestate”.

Riguardo agli effetti dell’applicazione della norma nel caso specifico, con riguardo alla corrispondenza fra danno per l’erario provinciale e correlato vantaggio per l’erario comunale, la Sezione si è pronunziata negativamente riguardo ai pagamenti per interessi e spese di notifica, in quanto le somme percepite a tali titoli dal Comune non possano essere considerate come incremento netto del patrimonio dell’ente, trattandosi o di rimborsi di spese sostenute per spese di notifica, ovvero di risarcimento per il danno derivato dal ritardato introito dell’imposta, nel caso degli interessi, di natura moratoria. Riguardo a questi ultimi, il danno subito dalla Provincia non può ritenersi compensato neppure da un correlato vantaggio per il ritardo nel pagamento, non perché tale evenienza sia da escludere in assoluto, ma in quanto non è stata data, né emerge dagli atti, la prova che tale vantaggio si sia concretamente verificato.

Invece, riguardo al pagamento delle sanzioni, secondo la Sezione sarda non può negarsi che la relativa entrata costituisca un vantaggio per il bilancio comunale. Al contrario, secondo la Sez. Lazio (sent. n. 493/2012), in tali casi la compensazione, da non escludere in toto, non potrebbe operare nella sua integralità, dovendosi tenere conto della funzione repressivo-sanzionatoria che coesiste con quella compensativo-risarcitoria nella responsabilità amministrativa, ma che verrebbe elusa se si aderisse alla tesi della compensazione integrale tra danno e vantaggio. Quest’ultima tesi non sarebbe condivisibile, secondo la Sezione sarda, in quanto la giurisdizione di questa Corte in materia di responsabilità amministrativa si distingue nettamente da quella puramente sanzionatoria, relativa a fattispecie determinate, espressamente individuate dal legislatore (v. ad es. art. 30, comma 15 l. n. 289/2002).

Sul punto, in sentenza si osserva che “la norma, se interpretata nel senso indicato da questa Sezione, possa indurre a sospetti di irragionevolezza, determinando una compromissione delle ragioni creditorie dell’ente danneggiato che potrebbe apparire ingiustificata. Tuttavia, considerato l’ormai consolidato orientamento della Corte costituzionale, la quale ritiene che il legislatore goda di ampia discrezionalità nel disciplinare l’istituto della responsabilità amministrativa, la relativa questione di legittimità costituzionale va reputata manifestamente infondata, potendosi ritenere non irragionevole che si sia considerato opportuno limitare tale responsabilità solo ai casi in cui la condotta illecita abbia determinato una lesione alla finanza pubblica nel suo complesso”.

 

5) Brevi note sui principi informatori dell’istituto e sulla loro applicazione nei giudizi contabili.

  1. A) Va richiamato il principio generale, vigente nell’ordinamento giuridico, che esclude arricchimenti senza giusta causa, con la precisazione che mentre nella compensatio lucri cum damno il giudice previene l’arricchimento, limitando l’importo del danno attraverso la valutazione della utilitas, nel processo instaurato sulla base dell’azione generale di arricchimento, ex art. 2041 c.c. il giudice rimuove gli effetti dell’arricchimento stesso, mediante il riconoscimento di una attribuzione patrimoniale a favore di chi subisce il
  2. B) Ai fini della validità della compensazione, è necessario che la stessa si ricolleghi ad un unico fatto genetico, produttivo sia del danno che dei presunti vantaggi; tuttavia occorre considerare non solo il danno patrimoniale, inteso quale diminuzione pecuniaria derivante dal danno emergente e dal lucro cessante, ma anche il danno finanziario derivante dall’alterazione dell’equilibrio economico-finanziario della singola p.a., con conseguente pregiudizio per l’azione amministrativa di competenza, costretta entro i vincoli di bilancio e di cassa.
  3. C) Riguardo ai poteri del giudice ed agli oneri probatori delle parti:

Mentre l’attore deve provare il danno, il convenuto, chiamato al risarcimento, può chiedere che questo sia liquidato tenendo conto dei vantaggi che il danneggiato ha ricevuto dal suo illecito, ponendo in essere non un’eccezione in senso tecnico, attraverso la prospettazione di un fatto modificativo o impeditivo od estintivo del diritto altrui, bensì  una mera attività difensiva in ordine all’esatta entità globale del danno effettivamente patito dal danneggiato, entità che resta l’oggetto iniziale della controversia e non è ampliata dalla detta valutazione: di conseguenza tale difesa non è soggetta alle preclusioni riguardanti le eccezioni in senso stretto.

Il giudice, nella determinazione dell’esatta entità del danno, può fare riferimento a tutte le risultanze già presenti nel giudizio, ma non può svolgere accertamenti ex officio per stabilire la sussistenza della utilitas.

  1. D) Nel caso di assunzioni disposte in violazione di norme imperative riguardanti la consistenza qualitativa o quantitativa della pianta organica o volte a garantire i tetti programmati della spesa per il personale, non è ipotizzabile alcuna compensatio lucri, derivante dallo svolgimento di determinate mansioni, cum damno, consistente nelle relative retribuzioni, in quanto la valutazione della non utilità della spesa è implicitamente statuita da tali norme imperative.
  2. E) Parimenti, quando la normativa prescrive una particolare qualificazione professionale o un determinato titolo di studio, la prestazione lavorativa effettuata in difetto di tali presupposti non comporta alcuna utilitas, dovendosi ritenere che il rapporto sinallagmatico sia irrimediabilmente inficiato e che le retribuzioni siano giuridicamente prive di giusta causa. Peraltro, in tali casi si è talvolta riconosciuta, in alcune statuizioni che inducono a notevoli perplessità, una limitata utilitas nelle mansioni, generiche e fungibili, svolte nell’ambito della complessiva attività di competenza, e che non trovano un essenziale presupposto nel possesso di conoscenze specialistiche.

 

6) Sintetiche osservazioni sulla recente sentenza 15 gennaio 2016 n. 5 della Sezione per la Sardegna.

  1. A) Secondo la Sezione, il legislatore – con la modifica introdotta dalla legge n. 102/2009, la quale ha previsto che il giudice contabile debba tenere conto anche dei vantaggi conseguiti “da altra amministrazione” – ha manifestato il chiaro intento di fare propria la tesi favorevole all’applicazione estensiva della compensatio, accogliendo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la compensazione doveva ritenersi operante anche nell’ipotesi in cui danni e vantaggi fossero riferibili ad amministrazioni diverse.

Sul punto possono avanzarsi riserve sul “chiaro intento” del legislatore, alla luce di quanto ritenuto dalla Sez. II app. nella sentenza n. 399/2001, dove si afferma l’esatto contrario di quanto sostenuto dalla Sezione sarda. Scrive la Sezione di appello:

“Quanto alla prospettazione dell’unitarietà della finanza pubblica allargata, che farebbe perdere rilevanza al danno di un soggetto pubblico quando vi corrisponda il vantaggio di un altro soggetto pubblico, essa è altamente suggestiva, e incontrava notevole consenso nella giurisprudenza di questa Corte, prima che nelle recenti leggi di riforma si considerasse espressamente il danno a soggetto diverso dall’ente di appartenenza, in vario modo regolandolo, il che comunque dimostra che il legislatore non ha accolto quella tesi unitaria, e ha preso in considerazione il danno con riferimento al singolo soggetto”.

  1. B) La Sezione ha ricordato che la giurisprudenza si è orientata a riconoscerne l’immediata applicabilità della modifica introdotta dalla legge n. 102/2009, giudicando la disposizione di natura interpretativa o in alternativa processuale, aggiungendo che tale disposizione, quand’anche di natura innovativa e sostanziale, avrebbe comunque trovato applicazione nel caso in esame, posto che, sebbene la condotta addebitata al convenuto sia stata tenuta in epoca precedente, l’illecito si è però perfezionato successivamente, con il pagamento, a carico del bilancio della Provincia, delle somme contestate.

Lo scrivente esprime notevoli dubbi riguardo alla tesi che nega il contenuto “innovativo e sostanziale” della nuova disposizione, che ha ampliato i confini della giurisdizione della Corte dei conti, negata con giurisprudenza consolidata dalla suprema Corte, nei casi in cui il danno riguardasse amministrazioni diverse da quelle di appartenenza del convenuto.

Riguardo all’ulteriore osservazione della Sezione, va chiarito che l’illecito è riconducibile alla condotta gravemente colposa del convenuto, mentre le conseguenze dannose della condotta stessa sono venute a maturazione in un momento successivo.

  1. C) Sono da condividere pienamente le determinazioni negative della Sezione, con riguardo alla corrispondenza fra danno per l’erario provinciale e correlato vantaggio per l’erario comunale, in merito ai pagamenti per interessi moratori e spese, trattandosi o di risarcimento per il danno derivato dal ritardato introito delle somme dovute o di meri rimborsi.

 

7) Un’ultima considerazione, in via incidentale.

Va osservato per inciso che, in assenza di quest’ultima statuizione negativa della Sezione sarda, che ha comportato la condanna del convenuto, sia pure per una somma di trascurabile ammontare (€ 2.322,54), l’inevitabile proscioglimento avrebbe comportato la doverosa statuizione riguardante le spese di lite a favore dell’interessato ed a carico dell’erario provinciale che, in tal modo, oltre ad essere stato già gravato dall’onere derivante dal riconoscimento di un debito fuori bilancio, avrebbe anche dovuto corrispondere tali spese, ma non nella misura, di solito assai contenuta, statuita nelle sentenze del giudice contabile, ma in quella di gran lunga più elevata normalmente riconosciuta in sede di rimborso da parte dell’Amministrazione di appartenenza, su parere vincolante dell’Avvocatura dello Stato.

Come precisato nell’articolo dello scrivente del 4 gennaio 2016 (“La disciplina relativa alla liquidazione delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile alla luce della recente sentenza del T.A.R. del Lazio 9 dicembre 2015 n. 13753”), tale disciplina, come interpretata dal giudice amministrativo, è caratterizzata da una macroscopica irrazionalità, senza precedenti, non solo in Italia ma in qualsiasi nazione civile, nell’ambito di uno Stato di diritto, tanto da consentire che un capo della sentenza di un giudice, nella specie quello contabile, relativo alla statuizione delle spese legali da riconoscere ai soggetti prosciolti nel merito, risulti irrilevante in presenza di un diverso parere di un organo forense.

 

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