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La Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale dell’art. 29, c. 1, lett. c), del d.lgs. n.118/2011

 

La Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale dell’art. 29, c. 1, lett. c), del d.lgs. n.118/2011, relativamente alla valutazione del patrimonio delle ASL e alla relativa contabilità economica.

 

 

Campania n. 148/ 2019/PRSP

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

CAMPANIA

 

Fulvio Maria Longavita                           Presidente

Rosella Cassaneti                                 Consigliere

Alessandro Forlani                                Consigliere

Francesco Sucameli                              Primo Referendario (Relatore)

Emanuele Scatola                                 Referendario

 

nella Camera di Consiglio del 27 maggio 2019

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

VISTO l’art. 1, commi 3 e 7, del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in Legge n. 213 del 7 dicembre 2012 che prevede il controllo di legalità-regolarità sui bilanci degli enti del sistema sanitario, con l’eventuale blocco della spesa in caso di violazione anche prospettica degli equilibri finanziari;

VISTA l’ordinanza n. 23/2019 del 4 aprile 2019, con la quale il Presidente della Sezione ha convocato in adunanza pubblica l’Azienda Sanitaria locale (ASL) di Caserta per il giorno 18 aprile 2019;

VISTA l’ordinanza istruttoria collegiale n. 106/2019/PRSP del 6 maggio 2019

VISTE le ordinanze di riconvocazione in adunanza pubblica nn. 31 del 6 maggio 2019 e n 34 del 10 maggio 2019, con la quale ultima l’ASL è stata nuovamente convocata in adunanza pubblica;

VISTI gli articoli 134 della Costituzione, l’articolo 1 della Legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l’articolo 23 della Legge 11 marzo 1953, n. 87;

UDITO, nell’adunanza pubblica riconvocata, in data 27 maggio 2019, l’ente controllato e viste le memorie in atti;

UDITO il Magistrato Relatore Francesco Sucameli;

 

Premesso che

 

  1. L’oggetto e il parametro del giudizio di controllo. L’odierno procedimento di controllo è attivato e svolto in ragione delle funzioni esercitate dalla Corte dei conti a tutela dell’equilibrio di bilancio, ai sensi dell’art. dell’art. 20 della L. n. 243/2012, attuativa in sede legislativa delle norme della L. cost. n. 1/2012, in un sistema di tutela che si allarga alle disposizioni del D.lgs. n. 118/2011 e al D.L. n. 174/2012.

Segnatamente, il controllo è svolto ai sensi dell’art. 1, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, di poco antecedente all’entrata in vigore della L. cost. n. 1/2012.

Esso viene svolto in base alla prefata disposizione normativa (art. 1, comma 3, del D.L. n. 174/2012), la quale stabilisce che «Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi […] degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, con le modalità e secondo le procedure di cui all’articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. I bilanci preventivi annuali e pluriennali e i rendiconti delle regioni con i relativi allegati sono trasmessi alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dai presidenti delle regioni con propria relazione.».

La norma riproduce la formulazione ed i contenuti dell’art. 148-bis TUEL (introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del medesimo D.L. n. 174/ 2012), con la sola differenza che tale controllo si espleta sugli enti del servizio sanitario nazionale, il cui bilancio è organizzato su una contabilità di tipo economico-patrimoniale, senza che il preventivo abbia effetto autorizzatorio, come è tipico della contabilità pubblica finanziaria.

Il budget (art. 25 D.lgs. n. 118/2011), infatti, ha soltanto finalità ed effetti programmatici, vincolando gli enti ad obiettivi che rilevano sotto il profilo del controllo strategico e dei vincoli contabili da realizzare a rendiconto. Si tratta cioè di bilanci che, pur mancando della fase della fissazione e verifica dell’equilibrio statico (mediante la fissazione preventiva ed autorizzatoria della spesa in base alle entrate previste), rimangono governati dalla clausola generale dell’equilibrio dinamico (Corte costituzionale, sentenza n. 70/2012). In pratica, l’emersione di squilibri, misurati dai saldi di bilancio, impone un mutamento degli obiettivi di conto economico (costi e ricavi) e le modifica delle scritture che si rivelassero irregolari.

Scopo del procedimento di controllo di cui all’art. 1, comma 3, del D.L. n. 174/2012 (come dell’art. 148-bis TUEL) è, segnatamente, la misurazione degli equilibri conseguente all’accertamento di irregolarità contabili, tramite appositi indici e saldi tecnico-contabili, che nella contabilità economico-patrimoniale sono il patrimonio netto (Pn) ed il risultato di esercizio (utile/perdita).

Il controllo sul bilancio degli enti pubblici, nelle loro varie articolazioni, in questo caso sugli enti del servizio sanitario nazionale (SSN), costituisce uno strumento di certezza ed effettività degli equilibri di bilancio, nel sistema della finanza pubblica allargata (art. 20 L. n. 243/2012).

Nel nuovo sistema costituzionale, si conferma quindi la necessità di un giudice del bilancio e segnatamente la funzione di controllo della Corte (art. 100 comma 2 Cost., prima parte) tramite cui è possibile verificare il rispetto del “diritto sul bilancio” e più a monte dei precetti costituzionali in materia di equilibrio. Sicché, emerge con evidenza che la verifica della “sincerità” delle poste di bilancio e dei suoi saldi, con l’attribuzione ad essi del valore della certezza, costituisce la primigenia e fondamentale materia di contabilità pubblica (art. 103 comma 2 Cost.) attribuita direttamente dalla Corte, senza interpositio legislatoris.

Il giudizio e l’accertamento contabile, di legittimità-regolarità, assicura la certezza del diritto del bilancio e costituisce la garanzia degli interessi adespoti alla informazione corretta sui risultati della gestione e alla funzionalità del bilancio rispetto agli obiettivi fissati dalla legge, nei limiti tracciati dalla Costituzione.

In quest’ottica, gli illeciti contabili che la Corte generalmente accerta e sui cui ha giurisdizione e controllo sono “illeciti di evento”, nel senso che devono produrre una lesione del precetto dell’equilibrio, alterando la rappresentazione del bilancio e l’effettiva capacità di sostenere costi e spese. In altri casi, la legge affida alla Corte la giurisdizione su veri e propri “illeciti di condotta”, ossia la violazione di taluni parametri che arrecano di per sé un sicuro danno all’equilibrio e alla sostenibilità del ciclo di bilancio (artt. 81 e 97 Cost).

Tali illeciti di condotta (fermo restando l’evento in senso giuridico della lesione del bene pubblico bilancio), nella fattispecie del controllo di cui all’art. 1 comma 3 del D.L. n. 174/2012 coincidono con la violazione “degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno”, con l’inosservanza “del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione”, con l’accertamento della insostenibilità dell’indebitamento (per violazione di parametri di legge).

In tali casi, infatti, la legge “tipizza” comportamenti che costituiscono ex se forme di lesione del bilancio, riconnettendo ipotesi di responsabilità erariale all’accertamento compiuto dalla Corte, iniziato nell’area del controllo e proseguito in quella giurisdizionale (cfr. SRC Campania, n. 240/2017/PRSP in relazione al patto di stabilità, nonché le sentenze Corte conti Sezione giurisdizionale Puglia nn.314/2019 e Sezione giurisdizionale Abruzzo decreto n. 1/2019).

1.1. Sul piano degli effetti giuscontabili – all’accertamento di tali irregolarità e del loro impatto sugli equilibri espressi dal patrimonio netto e dal risultato di esercizio – la legge ricollega la necessità di azioni conformative da parte del soggetto controllato, volte a superare le criticità rilevate (art. 1, comma 7, D.L. n. 17472012), sia in termini di “sincerità” del bilancio, mediante una correzione delle scritture contabili, sia mediante una riprogrammazione delle azioni di gestione (art. 25 D.lgs. n. 118/2011), conseguente ad una diversa situazione contabile (c.d. “misure correttive”, le quali consistono in “provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio”).

Il contenuto e l’impatto quantitativo delle misure correttive di cui vengono ope legis onerati gli enti controllati, dunque, presuppongono e dipendono dalla misurazione dello scarto tra equilibri effettivi accertati dalla Corte dei conti ed equilibri certificati dai bilanci approvati, tramite i saldi tipici della contabilità patrimoniale: patrimonio netto e risultato di esercizio.

Giova rammentare che nella contabilità economico-patrimoniale (art. 2424 c.c.), il patrimonio netto è il saldo in grado di esprimere – nella continuità degli esercizi – la complessiva coerenza tra risorse e impeghi, in funzione dell’obiettivo dell’organizzazione (in questo caso, “pubblica”, per risorse, fonti giuridiche e scopi), laddove nella contabilità finanziaria tale capacità rappresentativa è espressa dal saldo: “risultato di amministrazione” (art. 42 D.lgs. n. 118/2011).

Tali saldi, nelle due contabilità, costituiscono l’oggetto fondamentale dell’accertamento del giudice contabile.

Del resto, proprio di recente, la Corte costituzionale, con riguardo all’art. 1, comma 3, del D.L. n. 174/2012 – sebbene con riferimento al bilancio consuntivo della regione, approvato a valle del giudizio di parifica (art. 1, comma 5 del D.L. n. 174/2012) – ha ricordato che «compito della Corte dei conti, […], è accertare il risultato di amministrazione, nonché eventuali illegittimità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti (art. 1, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, […]), i rimettenti hanno esaurientemente spiegato l’effetto preclusivo che le disposizioni impugnate avrebbero sul controllo di legittimità delle partite di spesa […]» (sent. n. 138/2019, § 6 in diritto).

Mutatis mutandis, il thema decidendum del controllo sugli enti del servizio sanitario nazionale, previsto dall’art. 1, comma 3, del D.L. n. 174/2012, è accertare la corretta dimensione del patrimonio netto e con esso lo stato degli equilibri, rispetto ai quali discendono per l’ente controllato gli effetti conformativi di cui all’art. 1, comma 7, del medesimo D.L. n. 174/2012.

In buona sostanza: a) l’oggetto del giudizio di controllo della Corte dei conti è il bilancio; b) il parametro è la clausola generale dell’equilibrio, misurato alla stregua dei coefficienti propri del tipo di contabilità prescelto.

Tale procedimento può portare all’accertamento di irregolarità contabili, che in ragione delle alterazioni anche “prospettiche” degli equilibri (misurati dai saldi fondamentali del patrimonio netto e del connesso risultato di esercizio), comporta, ope legis, l’insorgenza di doveri di comportamento contabile.

Il principale effetto conformativo è l’insorgenza dell’obbligo giuscontabile di adozione di misure correttive da parte dell’ente controllato, consistente nelle necessarie correzioni delle scritture contabili e nella modifica della politica di budgeting (art. 25 D.lgs. n. 118/2011).

In buona sostanza, la quantificazione dello squilibrio è parametro di misurazione delle misure correttive che l’ente controllato è tenuto ad assumere e, quindi, parametro concreto di un diverso e distinto procedimento di controllo (cfr. SRC Campania n. 107/2018/PRSP e SS.RR., sentenza n. 5/2019/EL) in cui la Corte dei conti è tenuta a verificare l’adempimento del ridetto obbligo giuscontabile. L’accertamento di un inadempimento rispetto a tale obbligo di diritto pubblico, comporta, ope legis, il c.d. “blocco della spesa” (art. 1, comma 7, D.L. n. 174/2012, seconda parte). Il principale effetto conformativo è dunque rilevante per l’ente controllato, ma anche per la stessa Corte dei conti, in quanto costituisce il presupposto di fatto ed il parametro concreto per lo svolgimento di controlli successivi.

Lo stesso accertamento, peraltro, è foriero di ulteriori effetti conformativi che non si limitano all’ente controllato, ma si estendono agli altri soggetti pubblici che concorrono all’organizzazione del servizio sanitario.

Infatti, come è noto, se da un lato l’organizzazione dei servizi sanitari è di competenza delle regioni, che devono nella loro autonomia (art. 119 Cost.) assicurare l’equilibrio del loro bilancio e quello delle loro articolazioni organizzative (art. 97, comma 1 Cost.), per altro verso, costituisce loro incombenza dotare le aziende sanitarie, strumentali alla svolgimento di tale competenza, di mezzi finanziari sufficienti a erogare i livelli essenziali di assistenza che, in materia di tutela della salute, costituiscono “livelli essenziali delle prestazioni” in materia di diritti civili e sociali di cui all’art. 117 c. 2° lett. m) Cost., ossia quelle prestazioni costituzionalmente necessarie per assicurare l’uguaglianza nell’esercizio del diritto fondamentale alla salute (articoli 2, 3 e 32 Cost.), per cui lo Stato deve erogare appositi finanziamenti (art. 119 Cost.; art. 25 e ss. del D.lgs. n. 68/2011).

La sufficienza e adeguatezza del finanziamento, prima regionale e poi statale, per assicurare l’erogazione dei LEA, può essere misurata solo tramite bilanci trasparenti e veritieri delle medesime aziende sanitarie.

1.2. L’accertamento della Corte dei conti, infatti, non è privo di effetti giuridici, oltre che sulle amministrazioni controllate, anche sugli enti che hanno rispetto ad esse competenze, poteri e responsabilità (funzioni “tutorie”), in ordine al ripristino degli equilibri (regioni) e alla garanzia delle prestazioni costituzionalmente necessarie (per lo Stato, cfr. art. 117, comma 2, lett. m) Cost. in punto di competenza, l’art. 120 in merito al potere sostitutivo e l’art. 119, in punto di autonomia e finanziamento solidale).

Infatti, le situazioni di disavanzo sanitario possono determinare l’obbligo della finanza statale e regionale di intervenire a garanzia dei LEA (art. 119 comma 5 Cost.): così lo Stato deve intervenire a garanzia della tenuta complessiva del sistema sanitario regionale (così come accaduto con la con l’art. 1, comma 796, lettera b), Legge 27 dicembre 2006, n. 296), mentre per altro verso le regioni provvedono con appositi contributi a ripianare le perdite dei singoli enti (cfr. art. 29, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 118/2011.

Di conseguenza – essendo il precetto dell’art. 97 comma 1 Cost. una clausola generale che ha come effetto tipico costituzionale l’obbligo di ripristino dell’equilibrio violato (Corte cost. sent. nn. 192/2012 e en 250/2013) – mentre le stesse amministrazioni controllate devono immediatamente adottare comportamenti correttivi, sul terreno delle scritture contabili e della riprogrammazione gestionale, per eliminare le cause dello squilibrio, l’ente regionale deve verificare gli equilibri ed eventualmente compensare il deficit di risorse che il ciclo di produzione aziendale non è da solo in grado di riassorbire.

Infatti, a garanzia della continuità dell’erogazione del servizio sanitario e per evitare situazioni siffatte, l’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, impone alle regioni di garantire il complessivo equilibrio economico del servizio sanitario, attribuendo poteri di carattere sostitutivo allo Stato, ex art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

Il successivo comma 180 stabilisce che le regioni devono assicurare il complessivo equilibrio economico finanziario del sistema sanitario regionale, provvedendo ad una ricognizione delle cause ed alla conseguente elaborazione di un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento, di durata non superiore ad un triennio.

Con riguardo alle singole situazioni aziendali, ai sensi dell’art. 1, commi 524-536, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, le regioni devono individuare i singoli enti del sistema sanitario regionale da sottoporre a piani di rientro per il risanamento della propria situazione aziendale, sulla base di una disciplina dettata da un decreto interministeriale, in attesa di emanazione, a seguito della sentenza n. 192/2017 della Corte costituzionale. L’inadempimento degli obblighi di rientro può determinare la decadenza del manager preposto (comma 534).

Nel caso della regione Campania, è stato in questo senso adottato il recente decreto n. 46/2018 del Commissario ad acta, che espressamente ritiene «il mancato raggiungimento dell’equilibrio economico […] ovvero dei risultati programmati […] motivo di decadenza automatica del Direttore generale dell’azienda sanitaria inadempiente, fatte salve le ulteriori sanzioni previste dall’ordinamento».

  1. Natura e funzione rappresentativa del patrimonio netto nella contabilità economico-patrimoniale “pubblica”. Le variazioni del patrimonio netto da un esercizio all’altro costituiscono un indice deputato ad esprimere gli equilibri economico-finanziari di gestione. Tali variazioni sono espresse, principalmente, dal risultato di esercizio (utile/perdite) che a sua volta incide sulla consistenza del patrimonio netto stesso (composto, al suo interno: dal capitale di dotazione, dalle riserve, dagli utili non distribuiti, al netto delle perdite da ripianare, cfr. art. 2424 c.c.).

Il Patrimonio netto è anche definito come differenza tra le attività e passività (saldo) aziendali. Per questo, il Pn, considerato nel suo valore assoluto a fine esercizio, esprime, nella continuità di bilancio, l’equilibrio tra le risorse presenti (i finanziamenti contabilizzati tra le “passività”) ed i loro impieghi (contabilizzati tra le “attività”), i quali ultimi devono essere in grado di generare reddito e di sostenere il costo del rinnovo del ciclo aziendale (conto economico), garantendo la continuità dell’azienda medesima (principio di continuità).

Il saldo positivo tra attività e passività (in cui consiste il patrimonio netto) esprime la capacità dell’azienda di sostenere e finanziare il ciclo aziendale; il saldo negativo, invece, un deficit di risorse per il quale è evidente che la capacità produttiva dell’azienda è impegnata primariamente a ripianare il debito pregresso, piuttosto che a creare nuovo valore.

In questo senso, per gli enti pubblici in contabilità economico-patrimoniale (art. 2424 c.c.), il Pn rappresenta un saldo in grado di fornire informazioni simili a quelle rese dal risultato di amministrazione per gli enti territoriali diversi dallo Stato in contabilità finanziaria: così come il risultato di esercizio (utile/perdita) esprime l’equilibrio nel ciclo di reddito in una singola unità temporale (esercizio) alla stregua di quanto fa, in contabilità finanziaria, il risultato di gestione (avanzo/disavanzo di gestione), il Pn, come il risultato di amministrazione, mostra se, nella continuità degli esercizi, l’ente è ghermito da una situazione debitoria, derivante dagli esercizi precedenti, che gli impedisce di impiegare le risorse che si rendono disponibili, primariamente, a scopi produttivi di nuovi beni e servizi, a causa della pressione che deriva dal debito pregresso.

Esso si ottiene, infatti, algebricamente come la differenza tra le attività e le passività rappresentate nello Stato patrimoniale e misura il valore economico della ricchezza propria dell’azienda e se (e in che misura) sussistono le condizioni della proseguibilità dell’attività aziendale. Infatti, astrattamente, il Pn fornisce un’informazione elementare e cioè quale ricchezza rimarrebbe all’azienda ove, al tempo “t”, si procedesse a liquidare e pagare tutte le passività generate dai fatti di gestione. La ricchezza che residua deve essere peraltro in grado di rifinanziare gli impeghi necessari a riattivare il successivo ciclo di reddito.

Di conseguenza, l’accertamento contabile della reale consistenza del patrimonio netto (per effetto di irregolarità che incidono in diminuzione sul suo valore, ad esempio, mediante una riduzione delle attività e/o un aumento delle passività) è in grado non solo di acclarare lo stato degli equilibri, ma anche di costituire premessa per il procedimento decisionale da parte degli organi delle pubbliche amministrazioni, che possono così valutare quale spazio è disponibile per un nuovo eventuale indebitamento sostenibile e/o per l’erogazione di maggiori beni e servizi, funzionali allo svolgimento delle proprie attività pubbliche. In caso di patrimonio netto negativo, sarebbe per contro necessario programmare azioni di ripiano, anche sinergiche con altri enti che hanno competenze in materia di garanzia della effettiva erogazione dei LEA (artt. 119 e 120 Cost.), secondo standard di uguaglianza, poiché lo squilibrio può pregiudicare la destinazione delle risorse verso prestazioni necessarie per legge o Costituzione (art. 117 comma 2,lett m), Cost.).

2.1. Dal punto di vista della disciplina applicabile, a differenza delle articolate disposizioni dedicate precipuamente al bilancio pubblico in contabilità finanziaria, emanate con il D.lgs. n. 118/2011, il regolamento contabile rilevante per gli enti del servizio sanitario nazionale è determinato, per il rinvio effettuato dallo stesso D.lgs. n. 118/2011, dalla disciplina del codice civile e, implicitamente (per il carattere elastico delle norme contabili legali), dalle norme tecniche elaborate dalla scienza aziendale e dai principi contabili degli organi professionali.

Gli enti del servizio sanitario, infatti, adottano il sistema della contabilità economico-patrimoniale (art. 26 e art. 19 lettere b), punto i), c) e d) del comma 2 del D.lgs. n. 118/2011). Inoltre, per la redazione del bilancio d’esercizio, applicano la disciplina civilistica (articoli da 2423 a 2428 del codice civile), fatto salvo quanto espressamente disposto dal D.lgs. n. 118/2011 ed i suoi allegati, in particolare dagli Allegati 2, 2/1, 2/3, 2/4.

2.2. Ciò premesso, fatta salva la disciplina speciale di legge, la struttura e la funzione del patrimonio netto delle aziende sanitarie si identifica con quella civilistica e, tramite la disciplina di diritto comune (art. 2424 c.c., comma 1, lettera A del Passivo dello Stato patrimoniale), con la logica contabile del sistema economico-patrimoniale, elaborata dalla scienza ragionieristico – aziendale.

In generale, il passivo dello Stato patrimoniale indica tutte le “fonti” di finanziamento dell’attività aziendale, cui corrispondono gli impieghi dell’attivo patrimoniale. All’interno dello stesso, peraltro, occorre distinguere tra il patrimonio netto e le altre passività.

L’istituto giuscontabile del “Patrimonio netto” consiste, in primo luogo, in una fonte di finanziamento dell’attività aziendale, caratterizzantesi per la peculiarità della provenienza e delle aspettative di restituzione e remunerazione. Esso, infatti, si connota come “capitale proprio e di rischio”, da trasformare in “impieghi” aziendali. Gli impieghi aziendali, pertanto, sono in primo luogo il risultato della trasformazione del capitale proprio (di rischio), nonché, in secondo luogo, di quello di terzi.

Dal punto di vista della composizione, nel sistema a partita doppia, esso è composto dal capitale sociale (recte, fondo di dotazione, essenziale per la prosecuzione dell’attività), dalle riserve e dagli utili non distribuiti. A tale valore vanno sottratte le perdite da ripianare (cfr. art. 2424 c.c., Voce “A” del Passivo). Il saldo che ne risulta, come si vedrà tra breve, grazie al sistema della partita doppia, è esattamente uguale al saldo complessivo tra “attività” e passività”.

Infatti, e per altro verso, il patrimonio netto va distinto dalla passività vere e proprie (art. 2424 c.c. lettere B e seguenti del Passivo), elencate nelle voci successive del passivo Stato patrimoniale: esse riguardano i debiti della società con i terzi, per la disponibilità di capitale conferito, suscettibile di richieste di restituzione (claims).

In quest’ambito, il patrimonio netto si distingue dalle passività in senso tecnico: a) per la natura, in quanto misura il capitale investito stabilmente dai proprietari dell’azienda (la cui restituzione e remunerazione è del tutto eventuale ed aleatoria); b) per la sua funzione informativa, in quanto ogni sua variazione esprime un indice sintetico e globale del successo dell’attività aziendale nella continuità temporale e contemporaneamente, se riguardato in termini assoluti, indica le condizioni della sua perseguibilità, condizionando la successiva programmazione.

In definitiva, nella contabilità economico-patrimoniale il complessivo attivo patrimoniale (gli impieghi delle risorse, “A”) equivale alla somma del valore complessivo delle fonti proprie e di terzi, cioè delle passività (claims, “P”, ovvero il capitale di terzi) e del patrimonio netto (ergo, A=P+Pn). Per tale ragione, il Pn si può definire algebricamente come il valore differenziale tra attività e passività (Pn=A-P).

Si tratta quindi di un saldo che, se negativo, misura l’eventuale deficit di risorse che deve essere reintegrato. Se positivo, invece, esprime il margine per sostenere prospetticamente l’aumento dell’indebitamento verso il mercato, per effetto della crescita delle passività (aumento del ricorso a capitale di terzi), determinata dallo squilibrio emerso a valle del processo di investimento e di finanziamento della gestione corrente. In ogni caso, il Pn deve assicurare un surplus idoneo a garantire la continuità dell’azienda, tale da conservare quanto meno il fondo di dotazione perché altrimenti, per pagare tutti i debiti, l’azienda dovrebbe disfarsi anche dei suoi beni strumentali essenziali.

2.3. Se il Pn, alla stregua delle passività vere e proprie, finanzia in modo non dissimile e unitario gli impieghi aziendali ed il ciclo economico, se ne differenzia profondamente per natura e funzione rappresentativa (funzione che esso esercita verso gli stakeholders).

Esso si trova allocato nella sezione finale del Passivo, perché, lato sensu, costituisce un “debito” peculiare, per destinatario e per esigibilità. La natura del “debito” che esso rappresenta, infatti, è di tipo aleatorio: esso esprime il quantum che l’organizzazione sarebbe tenuta a restituire ai suoi “mandanti” (principal/stakeholders) una volta esaurito o cessato il mandato aziendale. Tale debito di “organizzazione” e tale restituzione, è doppiamente eventuale ed aleatoria, in quanto subordinata: a) all’evento eccezionale dell’interruzione dell’attività aziendale, b) alla esistenza di un surplus patrimoniale rispetto al monte dei debiti verso “terzi”.

Sul primo piano (natura), dunque, per gli investitori/proprietari, esso esprime un credito aleatorio e quindi un capitale di rischio, poiché la restituzione e la remunerazione del capitale investito dipendono da un evento, futuro ed incerto (il successo dell’attività aziendale, espresso dall’utile), mentre, per l’azienda stessa può essere considerato un “debito di organizzazione” che diventa esigibile solo in caso di interruzione dell’attività aziendale.

Quanto al secondo piano (funzione), il Pn ha una funzione informativa essenziale per la verifica della capacità dell’azienda di sostenersi, nel tempo, coi capitali investititi. Esso quindi rappresenta un elemento informativo essenziale per la prosecuzione e programmazione della successiva attività aziendale e per la verifica del merito creditizio o di margini per ulteriore indebitamento. La sua crescita o la sua diminuzione, infatti, esprimono il successo o l’insuccesso della mission aziendale.

Inoltre esso misura la ricchezza economica dell’azienda e della sua proprietà pubblica. La sua riduzione al di sotto del livello di pareggio equivale alla certificazione che la gestione corrente è risultata inefficiente e le sue perdite hanno distrutto la ricchezza originaria. In altri termini: l’accertamento di un Pn negativo equivale alla rilevazione della distruzione integrale del valore economico delle risorse necessarie alla sopravvivenza dell’azienda stessa e della sussistenza del pregiudizio/rischio di interruzione della continuità aziendale.

Per contro, la presenza di un surplus esprime la presenza di una eccedenza di ricchezza e misura il margine della sostenibilità di eventuali, future, perdite (per la crescita di debiti e costi a fronte di ricavi insufficienti).

Nelle aziende di erogazione, in assenza di un capitale legale, la sua consistenza finale non può essere in ogni caso inferiore a zero e deve corrispondere ad un surplus pari al valore dei beni strumentali essenziali per la prosecuzione dell’azienda. Esso rappresenta quindi l’equilibrio dinamico di bilancio, mettendo in relazione il risultato della gestione con quelli degli esercizi precedenti, alla stregua di quanto avviene con il “risultato.

Cosicché si può affermare che il Pn (ed il suo valore assoluto a fine esercizio) esprime gli equilibri di bilancio dell’azienda sanitaria consistenti in: a) un “accreditamento” in caso di Pn positivo (capitale proprio ”impiegato” nell’azienda); b) un “indebitamento” in caso di Pn negativo (ovvero un deficit di risorse rispetto alle passività complessive, che deve essere necessariamente ripianato, a pena dell’innesto di tensioni di cassa o economiche che possono impedire la prosecuzione del ciclo di produzione/erogazione).

La variazione del Pn, inoltre, è un indice di performance su cui svolgere una valutazione in ordine alla corretta esecuzione del mandato da parte dei dirigenti (cfr. §§ 1.1. e 1.2.), e, insieme alla sua consistenza, costituisce la permessa per le successive decisioni aziendali, anche in termini di ricorso al finanziamento da parte di terzi (art. 25 D.lgs. n. 118/2011), ma soprattutto, nel sistema della contabilità pubblica delle aziende di erogazione, da parte degli stessi proprietari aziendali (la Regione e lo Stato che devono eventualmente intervenire in funzione di “ripiano perdite” a garanzia dell’erogazione dei LEA).

 

Considerato in fatto

  1. Con relazione istruttoria del Magistrato addetto l’ASL di Caserta è stata a chiamata a contraddire su una serie di irregolarità contabili, rilevate sui bilanci 2016 e 2017, segnatamente:
  2. a) dubbi sulle procedure di sicurezza informativa a presidio della immodificabilità delle scritture contabili a chiusura dell’esercizio. Le scritture contabili devono infatti essere tenute secondo le consuete norme contabili (v. in particolare gli artt. 2215-bis e 2220 terzo comma c.c.): ove le stesse siano conservate su supporti informatici senza l’utilizzazione delle prescritte procedure di tenuta e conservazione dei documenti in formato elettronico (artt. 39 e 71 D.lgs. 82/2005 e correlati DPCM 3 dicembre 2013 e DPCM 13 novembre 2014 nonché DMEF 17 giugno 2014) se ne inficia l’attendibilità;
  3. b) mancata inventariazione dei beni mobili, con conseguente incertezza sul valore contabilizzato nelle immobilizzazioni dello stato patrimoniale. Come è noto, infatti, l’inventario è una scrittura obbligatoria della contabilità economico-patrimoniale (art. 2214 c.c.), necessaria per l’elaborazione del bilancio d’esercizio. Per l’effetto, ai fini del giudizio contabile sugli equilibri che deve essere reso da questo giudice, il valore iscritto nei bilanci 2016 e 2017 non può far prova a favore del soggetto che tale contabilità ha predisposto (art. 2709-2711 c.c.), per mancanza della regolare, sottostante, scrittura obbligatoria di secondo grado (l’inventario). Il valore contabilizzato dovrebbe, per l’effetto, essere abbattuto ai fini del calcolo prudenziale degli equilibri, fino a completamento del processo contabile di inventariazione;
  4. c) mancanza di contabilità analitica e obbligatoria in grado di mappare il fenomeno del contenzioso e di prevenire il fenomeno dei “doppi pagamenti” con i privati accreditati, specie in sede di esecuzione;
  5. d) incoerenza tra i dati di conto economico (CE), stato patrimoniale (SP) e nota integrativa (NI), in ordine ai crediti e connessa sottovalutazione del fondo svalutazione e dubbi sul loro valore di effettivo realizzo. Infatti, in base alle disposizioni civilistiche, non derogate dalla disciplina del D.lgs. n. 118/2011, la valutazione dei crediti avviene in base al valore di presumibile realizzazione (art. 2426, n. 8 c.c.). Nel rispetto del principio di prudenza e verità, essi vanno iscritti nel patrimonio al netto delle poste rettificative. In base agli Allegati 2, 2/1, 2/3, 2/4 del D.lgs. n. 118/2011 (spec. All. 2/3) il “fondo svalutazioni crediti” (FSC) è esterno allo Stato patrimoniale (SP) e al Conto economico (CE), ed è un fondo che opera nettando direttamente il montante dei crediti in SP. Esso si alimenta mediante progressivi accantonamenti annuali al CE. La nota integrativa (NI) deve dare dettagliata informazione dei movimenti, dei contenuti e del FSC;
  6. e) ritardi nei pagamenti e diffusa patologia in termine di pignoramento sistemico della cassa e fenomeno di “doppi pagamenti”;
  7. f) mancanza di adeguata contabilità analitica per completare le informazioni del Modello LA, separando costi diretti e correlati ricavi per l’erogazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza in campo sanitario) da quelli indiretti e generici, in coerenza con le esigenze di costituzionalità del sistema contabile, evidenziate nella sentenza n. 169/2017 della Corte Costituzionale, nel rispetto di quanto stabilito l’art. 20 del D.lgs. n.118/2011.
  8. 2. Per completare il quadro informativo e instaurare la pienezza del contraddittorio sulle conclusioni istruttorie del Magistrato istruttore, quest’ultimo chiedeva al Presidente di deferire in adunanza pubblica l’ASL e di consentire all’ente medesimo:
  9. i) di presentare memorie e scritti su tutte le anomalie sopra elencate;
  10. ii) inoltre, ed in particolare, di fornire le seguenti informazioni e documentazioni mancanti:

– attestazione da parte del provider del sistema informativo sulla immodificabilità delle scritture già chiuse (procedure di sicurezza informatica e tracciabilità);

– conferma del corretto ammontare dei crediti al 31.12.2017, spiegando le ragioni della contraddittorietà dei dati esposti in bilancio, sia in tale annualità che in quella precedente, spiegando, in particolare, la ragione della mancata evidenziazione di accantonamenti in Conto economico 2017 e l’inadeguata svalutazione dei crediti alla luce delle considerazioni del Collegio sindacale;

– budget 2019;

– preconsuntivo 2018;

– motivare sulle anomalie riscontrate sul bilancio 2017, in ragione dei possibili effetti sugli esercizi successivi, specie con riferimento alle patologie del sistema degli accantonamenti.

La relazione di deferimento veniva regolarmente comunicata con ordinanza presidenziale all’ente controllato (ordinanza n. 23/2019 del 4 aprile 2019), il quale veniva convocato in adunanza pubblica nel giorno 18 aprile 2019.

  1. Nella data fissata per l’adunanza pubblica e nei termini di cui alla citata ordinanza presidenziale, l’ente sanitario non presentava memorie né interveniva con propri rappresentanti per sostenere il contraddittorio sui temi sollevati dal Magistrato istruttore.

Nella conseguente camera di consiglio, il Collegio rilevava la necessità di integrare il quadro informativo ed il contraddittorio con riferimento alla situazione del patrimonio netto (Pn), non solo alla luce delle anomalie comunicate con il deferimento, ma anche in relazione alla modalità di contabilizzazione dei “contributi in conto capitale”, impiegati per legge per la neutralizzazione degli ammortamenti, nonostante siano, in base alla stessa legge, anche inclusi nel patrimonio netto.

In sintesi, le conclusioni di fatto desumibili dallo stato degli atti istruttori si traducevano in tre potenziali irregolarità contabili, così quantificabili, tutte e tre suscettibili di impattare, direttamente o indirettamente, sul valore del patrimonio netto:

  • il valore contabilizzato per i beni diversi dagli immobili (cfr. bilancio 2017, Attivo SP Voce A, II, “Immobilizzazioni materiali”, al netto di “terreni” e “fabbricati”, € 6.300.658) non può essere validato per mancanza del sottostante inventario;
  • in secondo luogo, il valore dei crediti verso “altri” (voce B, II Attivo SP “Attivo circolante”, sottovoce n. 7) risultava in larga parte incerto ed inattendibile, per ragioni di altra natura, segnatamente, l’incoerenza interna dei dati esposti in stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Inoltre, non era chiaro se i dati esposti nello SP fossero al netto o al lordo del fondo svalutazione crediti.

La contraddittorietà dei dati emergeva nei termini che di seguito si espongono.

***

Bilancio 2016

Stato patrimoniale. Crediti v/altri € 18.021.000 (di cui v. /clienti privati € 10.367.000, iscritti al netto del Fondo svalutazione crediti).

Conto economico: svalutazione crediti € 500.000 (corrispondente alla variazione in positivo del fondo svalutazione nella nota integrativa).

Nota integrativa: Crediti v. privati € 12.148.379 (già svalutati); fondo svalutazione crediti v. privati € 8.333.000.

Stando alla nota integrativa, dunque, il valore lordo nominale dei crediti “altri” sarebbe dovuto essere di € 20.481.379. Nello stato patrimoniale dovrebbero comparire, per l’effetto, € 12.148.379 e non € 10.367.000, come invece risulta dalle scritture. Il Collegio sindacale, inoltre, esprimeva in sede di relazione sul bilancio 2016, forti riserve sulla congruità dell’abbattimento del valore nominale dei crediti verso privati (centri accreditati) solo al 50%.

 

Bilancio 2017

Stato patrimoniale: Crediti v/altri 14.836.304 (in teoria, al netto del Fondo svalutazione crediti).

Conto economico: Nessun accantonamento a fondo svalutazione crediti.

Nota integrativa: Il valore nominale lordo dei crediti verso “altri” corrisponde al valore iscritto in SP. Evidenzia però una variazione del fondo svalutazioni crediti, nell’anno, per ciascuna sottovoce, pari all’intero importo nominale.

Tutte le evidenze, portano a ritenere inattendibile l’importo di € 14.836.304. Inoltre, già il Collegio sindacale aveva segnalato l’inadeguatezza del Fondo svalutazione crediti (FSC). In proposito, peraltro, la criticità più rilevante è rappresentata dalla non coincidenza degli accantonamenti a tale fondo, registrati in nota integrativa (integrali e nel corso del 2017, per € 14.836.304,00 con un utilizzo solo di 937.753,18) con l’assenza di svalutazioni nel conto economico (Voce B.9). Ciò dimostrerebbe una palese inattendibilità non solo dello stato patrimoniale, ma anche del conto economico sul valore dei dati per “crediti verso altri” (e il “di cui” “verso privati”) registrati nel rendiconto 2017

***

L’incertezza e la contraddittorietà dei dati esposti si tradurrebbe nell’inattendibilità prudenziale del valore “crediti v/altri” il quale, sino a chiarimento e riaccertamento dei titoli sottostanti ed approvazione del nuovo bilancio, si dovrebbe ritenere un valore non giustificato, da considerare in diminuzione dell’attivo patrimoniale.

  • In terzo luogo, il patologico fenomeno dei “doppi pagamenti” induceva a ritenere che l’ente fosse sprovvisto di un adeguato sistema di controlli interni e soprattutto sottovalutasse l’impatto sul bilancio del contenzioso in termini di Fondo rischi (FR). Segnatamente, secondo quanto ricostruito, i debiti oggetto di procedura esecutiva presso terzi (enti tesorieri) da parte di “privati”, vengono prima pagati tempestivamente dopo il pignoramento e poi nuovamente pagati in sede coattiva, senza che l’ente si opponga prontamente in sede giudiziale. L’ASL si ritrova sistematicamente a pagare due volte lo stesso debito, trovandosi per converso costretta, se e quando prenda coscienza dell’anomalia, ad attivare un’azione di recupero presso il creditore, per il (secondo) pagamento non dovuto. Il Collegio sindacale rilevava, inoltre, la frequente mancanza di iscrizione nelle scritture contabili generali del debito oggetto di procedura esecutiva e, contemporaneamente, un sottodimensionamento del fondo rischi. Non venivano peraltro forniti dati certi sul fenomeno dei crediti giudiziari conseguenti, da “raffreddare” col fondo svalutazione crediti, né sul metodo ed esistenza di apposito fondo rischi ed oneri per le spese giudiziarie di recupero.

Poiché, nel caso concreto, sussistono evidenze di irregolarità in grado di impattare negativamente sull’attivo patrimoniale per diversi milioni di euro (tra cui immobilizzazioni iscritte senza corrispondente inventario sottostante, dati contraddittori sulla consistenza del comparto crediti che ne inficiano l’attendibilità complessiva) e in parte in aumento sul passivo (fondo rischi ed oneri), l’attività della Sezione porterebbe all’accertamento di un patrimonio netto effettivo diverso da quello certificato con l’approvazione dei bilanci.

La Sezione, inoltre, rilevato che l’esclusione dei contributi in conto capitale, non compresi – secondo la tecnica contabile prevalente nel diritto comune – tra le voci del Pn, porterebbero, al lordo delle tre irregolarità segnalate, alla quantificazione di un patrimonio netto negativo, avanzava dubbi di costituzionalità sull’art. 29 comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011.

L’art. 29, infatti, disciplina la composizione del patrimonio netto degli enti del sistema sanitario nazionale, sottoposti al controllo di legittimità-regolarità ai sensi dell’art. 1 commi 3 e 7 del D.L. n. 174/2012 con. L. n. 213/2012.

Pertanto, per garantire il pieno contraddittorio ai sensi dell’art. 111 Cost., la Sezione emetteva collegialmente ordinanza, in applicazione analogica dell’art. 7, comma 2, del Codice di giustizia contabile (laddove richiama l’art. 101 c.p.c.), e fissava il termine per le deduzioni dell’ente controllato.

Segnatamente, la Sezione invitava l’ente controllato a contraddire sulla dubbia costituzionalità dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. n. 118/2011, atteso che tale norma consente di includere tra gli elementi del patrimonio netto i contributi in conto investimento e contemporaneamente di utilizzare gli stessi contributi per la sterilizzazione degli ammortamenti in conto economico, come se si trattasse di una passività (un risconto passivo o un debito pluriennale).

In sostanza, tali “contributi”, sulla base di tale soluzione tecnica del Legislatore, apparirebbero, valutati due volte:

  1. a) come “voce di patrimonio netto”;
  2. b) come “proventi” straordinari, utilizzabili per annullare i costi di ammortamento dei cespiti acquistati.
  3. La Sezione – come anticipato – emetteva ordinanza istruttoria collegiale (n. 106/2019/PRS del 6 maggio 2019) con cui, da un lato, reiterava la richiesta di fornire documenti, memorie, informazioni sui temi oggetto della relazione di deferimento comunicata con l’ordinanza presidenziale n. 23/2019, dall’altro, chiedeva di dedurre sulla questione di costituzionalità dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011, sollevata d’ufficio dal Collegio.
  4. Con ordinanza presidenziale n. 34 del 10 maggio 2019, l’Asl veniva ri-convocata in adunanza pubblica per il giorno 27 maggio 2019.

Con nota prot. C.d.c. n. 3703 del 22 maggio 2019, l’ASL ha trasmesso articolate memorie, mentre all’adunanza pubblica del 27 maggio 2019, intervenuta con i propri rappresentanti, ha fornito informazioni supplementari e precisazioni.

In particolare:

  1. a) ha prodotto regolare attestazione di immodificabilità delle scritture da parte del provider, fornendone copia;
  2. b) con riguardo alle immobilizzazioni materiali, ha argomentato nel senso che – a suo giudizio – la mancanza di inventario non inciderebbe sulla certezza del valore iscritto in bilancio a titolo di immobilizzazioni per beni mobili e che il valore dubbio, in ogni caso, ammonterebbe a € 6.120.658,84. L’inventario – che comunque dovrebbe essere completato nei 60 giorni successivi all’adunanza – una volta terminato potrebbe, secondo i rappresentanti dell’ASL, anche condurre ad un aumento dei valori iscritti nell’attivo patrimoniale;
  3. c) per quanto riguarda i tempi di pagamento, l’ASL ha affermato di aver ridotto sensibilmente il ritardo, almeno sui pagamenti di competenza, anche se sussiste ancora la patologia per effetto del ritardo nel pagamento dei debiti pregressi;
  4. d) sempre sul piano della cassa, ha evidenziato che il fenomeno dei “doppi pagamenti” è collegato al contenzioso con i centri privati accreditati, per le prestazioni oltre il tetto di “accreditamento”. In buona sostanza, ad avviso dell’ASL, il fenomeno dei “doppi pagamenti” – che afferma essere in via di totale superamento – dipenderebbe da un comportamento scorretto dei privati, i quali, pur dopo avere ricevuto il pagamento, avvalendosi delle pregresse intimazioni di pagamento e dei pignoramenti, portano ad esecuzione la procedura presso terzi (tesorieri) ottenendo due volte l’adempimento. L’ente ha, come detto, precisato che il fenomeno è stato quasi del tutto eliminato, mediante la prassi del rilascio di una dichiarazione di rinuncia ad ulteriori pagamenti, da parte del difensore dei terzi esecutori, dopo il primo.

Con riferimento al medesimo fenomeno dei “doppi pagamenti” ha anche chiarito che, ex latere repetitio indebiti, iscrive e svaluta (non nella loro integralità) i “crediti” da recupero, conseguente a tale fenomeno.

Per quanto riguarda gli altri rischi per passività potenziali, l’ASL ha riferito che il Collegio Sindacale, con riferimento al Bilancio Consuntivo del 2017, ha ritenuto congrui gli accantonamenti. Ha precisato, però, che l’accantonamento a Fondo rischi riguarda esclusivamente le casistiche in cui è in essere un contenzioso, al momento della comunicazione della richiesta di ingiunzione e quindi di avvio di procedura giudiziaria. Tale fenomenologia è governata dall’applicativo Regionale LEGALAPP e, attraverso lo stesso, si provvede a quantificare ed iscrivere il valore delle somme (per sorte, interessi e spese) ad accantonamento. Nulla risulta accantonato in ragione delle maggiori passività riguardanti le rivendicazioni di pagamento di prestazioni al di fuori del contenzioso “formalizzato”;

  1. e) ha precisato l’esatto ammontare dei crediti “verso altri”, cercando di portare chiarezza sui contraddittori numeri emersi dal bilancio. In particolare ha chiarito l’ammontare della svalutazione e la natura del fenomeno gestionale sottostante.

Come già evidenziato, sulla base dei dati di bilancio 2017, mentre dallo Stato patrimoniale i “crediti verso altri” (voce B.II.7) ammonterebbero a € 14.836.304,00, sulla base delle informazioni rassegnate in nota integrativa, il valore nominale lordo della stessa voce avrebbe dovuto essere pari a zero.

Se da un lato, infatti, la somma del valore nominale delle sotto-voci dei “crediti verso altri” corrisponde al valore esposto in Stato patrimoniale alla voce B.II.7, per altro verso, la stessa nota integrativa riporta accantonamenti a Fondo Svalutazione Crediti (FSC) di pari ammontare (per un totale di € 14.836.304,00).

Tali accantonamenti, inoltre, per la quasi totalità – sempre secondo la nota integrativa – sarebbero stati effettuati nel corso del 2017, eppure di tali accantonamenti non risulta traccia nel conto economico 2017 (Voce B.9 pari a zero).

L’Ente, ha confermato (nella propria memoria) la correttezza del valore esposto nello Stato Patrimoniale 2017, ma:

– ha integralmente corretto le informazioni rese nella nota integrativa, in pratica confermando l’inesattezza di quanto ivi riportato, specie con riguardo al FSC e alla composizione e quantità delle sotto-voci.

– non ha peraltro chiarito le ragioni della mancanza di accantonamenti in conto economico, per l’importo svalutato.

5.1. Si riporta di seguito il dettaglio delle precisazioni.

 

Tabella A. Crediti dello Stato patrimoniale 2017, al netto del fondo svalutazione crediti

codifica descrizione valore
ABA660 B.II.7) Crediti v/altri 14.836.304
ABA670 B.II.7.a) Crediti v/clienti privati 7.395.580
ABA6780 B.II.7.b) Crediti v/gestioni liquidatorie 0
ABA690 B.II.7.c) Crediti v/altri soggetti pubblici 1.631.609
ABA700 B.II.7.c) Crediti v/altri soggetti per ricerca 0
ABA710 B.II.7) Crediti v/altri crediti diversi 5.809.115

 

Il valore della voce netta esposta nello Stato patrimoniale (B.II.7) è stata dunque confermata. Diverse informazioni sono state rese sul FSC, determinato in larga parte da “crediti verso privati”.

Contrariamente a quanto affermato col bilancio 2017, il valore nominale della sotto-voce “crediti verso privati” non sarebbe di € 7.395.580,00 (nota integrativa, p. 29), ma di € 15.519.416. L’importo di € 7.395.580,00 sarebbe invece il valore netto (Tabella A, fornita con le memorie di cui alla nota prot. C.d.c. n. 3703 del 22 maggio 2019).

Su tale valore nominale, secondo le informazioni rassegnate con le memorie, si applicherebbe un fondo svalutazione crediti di € 8.333.333,00 (e non di € 7.395.579,82 come risulta da nota integrativa, p. 32).

In definitiva, tale FSC 2017 corrisponderebbe per importo, al netto di qualche piccola fluttuazione di valore, a quello 2016, che era stato accantonato per svalutazione dei “crediti v. privati” (cfr. § 3).

Il valore nominale, della sotto-voce in questione sarebbe quindi così scomponibile:

 

Tabella B, Dettaglio del valore nominale lordo della sotto voce “crediti verso privati (ABA670)

CREDITI V/CLIENTI PRIVATI
Centri Privati accreditati 6.539.428,49
ALTRI ENTI PUBBICI 2.031.919,26
Crediti Vs. Clienti privati per prestazioni sanitarie, cessioni sangue, controlli di sicurezza etc. 6.948.068,25
TOTALE 15.519.416,00

 

5.2. L’ASL, in primo luogo, ha riconosciuto che il valore, lordo e netto, dei “crediti verso clienti privati” risente dell’indebita inclusione di crediti “verso enti pubblici” per 2,032 milioni. Tuttavia ha affermato che si tratta di una inclusione che non altera i valori complessivi dell’attivo, in quanto tali importi andrebbero comunque dislocati altrove in bilancio e poi ridotti per effetto di compensazione con debiti, come in programma con l’approvazione del bilancio 2018.

L’erronea allocazione dipenderebbe da “migrazioni gestionali che si sono succedute negli anni. Gran parte di questo importo sarà portato in compensazione con altri debiti verso le stesse aziende sanitarie, a seguito di D.G.R.C. n 88 del 22.10.2018”.

Inoltre l’ASL afferma che si tratta di crediti che non abbisognerebbero, nelle valutazioni dall’azienda, di nessuna svalutazione, sicché l’impatto sul valore netto dei crediti sarebbe irrilevante.

In ogni caso, l’Ente ha soggiunto che il FSC applicato a “crediti verso privati” è pari al 53,70% del valore nominale (e non pari al suo integrale valore come da nota integrativa, p. 32) che quindi esprime un valore netto pari al 46,30%.

5.3. Emerge tuttavia che i dati rassegnati non sono corretti e continuano a non avere coerenza interna: infatti, la sotto-voce dovrebbe avere un valore netto di 7.186.083,00 (€ 15.519.416,00 – € 8.333.333,00) e non di € 7.395.580,00 come ancora si indica nelle memorie e in Tabella A.

Inoltre, a prescindere dai dati numerici già incerti, dal contraddittorio è emerso che i ridetti crediti, sul piano del titolo, non corrispondono in tutto o in parte ad effettivi diritti di obbligazione, quanto piuttosto ad un debito o passività potenziale. Segnatamente, l’ASL ha precisato che i crediti “verso privati” registrano pretese che i centri privati accreditati accampano verso l’ASL, per prestazioni rese oltre il tetto di accreditamento, per un importo di € 6.539.428,49. Soggiunge nelle memorie che essi “si riferiscono a recuperi di somme non dovute, per i quali gli stessi centri hanno attivato un contenzioso terminato con un pignoramento”.

Dai chiarimenti forniti in adunanza pubblica si è compreso che si tratta in realtà di rivendicazioni di maggiori pagamenti da parte dei “centri privati accreditati” (art.8-ter e quater del D.lgs. n. 502/1992), in relazione a prestazioni erogate in eccesso al tetto di accreditamento, stabilito per via contrattuale (art. 8-quinquies del D.lgs. n. 502/1992).

Talvolta le stesse rivendicazioni generano “doppi pagamenti”, secondo la patologia sopra illustrata al § 5, lett. d).

In relazione a tali rivendicazioni (e talvolta in relazione a pagamenti effettivi), l’ASL accenderebbe nella propria contabilità un credito, controbilanciato da una passività potenziale (o da una riduzione di cassa). Cionondimeno, secondo l’ASL, nonostante non ci sia una svalutazione integrale, l’azione combinata di FR (fondo rischi) e FSC (fondo svalutazione crediti) ridurrebbe in modo esiziale l’impatto contabile di tale irregolarità sul patrimonio netto;

  1. e) per quel che concerne la mancanza di una contabilità che consenta di separare i costi di gestione indifferenziati (specie i costi indiretti) da costi e ricavi destinati ai LEA, l’ASL ha sostenuto che i ricavi per LEA sono rappresentati, indistintamente, per quanto riguarda i ricavi, dal finanziamento FSR per le Aziende Sanitarie, per quanto riguarda i costi, da tutti i costi che, conformemente al Modello LA approvato con decreto ministeriale, sono ascrivibili al sostenimento dei LEA e dei servizi al cittadino.
  2. f) Con riguardo al dubbio di costituzionalità sollevato d’ufficio l’ASL ha affermato che «Gli equilibri patrimoniali esposti nel triennio 2015, 2016 e 2017, riflettono l’applicazione della tecnica di legge secondo quanto stabilito all’art. 29 comma 1 lettera C del D.lgs. 118/2011. Questa Azienda Sanitaria Locale si è limitata ad applicare quanto previsto da norma di legge ed in continuità con quanto trasmesso dall’organo superiore Regione Campania».

Il Collegio si ritirava dunque in Camera di consiglio per la decisione.

 

Considerato in diritto

  1. Le irregolarità contabili rilevanti per la ri-quantificazione giustiziale del patrimonio netto. Le irregolarità contabili che possono impattare direttamente sul patrimonio netto e che emergono al momento in cui il caso viene trattenuto per la decisione sono le seguenti:
  2. i) la voce dell’attivo patrimoniale A.II (Immobilizzazioni materiali, € 137.248.625,00) è priva della documentazione obbligatoria di II grado (inventario) limitatamente ai beni mobili (valore: € 6.120.659,00). Giova rammentare che gli enti del servizio sanitario adottano il sistema della contabilità civilistica. L’inventario, nella ridetta contabilità, è una scrittura obbligatoria (ex artt. 2214 e 2217 cc), a differenza che nella contabilità pubblica finanziaria (art. 64 D.lgs. n. 118/2011).

Quanto al valore probatorio delle scritture si applicano i principi generali previsti dal codice civile, che detta la disciplina di diritto comune di base per tale tipo di contabilità (in coerenza con l’art. 1, comma 1-bis della L. n. 241/1990).

Infatti: a) come il rendiconto in contabilità pubblica finanziaria, il bilancio consuntivo è una scrittura contabile complessa di terzo grado che muove da una contabilità analitica (in forma di registrazione contabili periodiche, scritture contabili di secondo grado), in gran parte obbligatoria per legge, e dalle c.d. “pezze giustificative” (documenti contabili di primo grado); b) l’inventario è una delle scritture obbligatorie (cfr. art. 2214 c.c.), presupposte dal sistema degli artt. 2423 e ss. ed è necessario per la corretta e attendibile ricostruzione delle poste di bilancio.

La condizione perché le scritture facciano prova a favore dell’Ente che le redige è che esse siano “regolari”, nel senso che rispettino la tecnica e le prescrizioni di legge sulla loro tenuta (art. 2709 c.c.).

Di conseguenza, per le regole che governano la prova dei fatti contabili in presenza di scritture obbligatorie di bilancio, il valore dell’Attivo patrimoniale andrebbe abbattuto di € 6.120.659,00, pari al valore della voce, al netto delle sotto-voci 1, 2 e 9 (“terreni”, “fabbricati”, “in corso ed acconti”), almeno sino a completamento del processo di inventariazione.

Sebbene all’esito del completamento del processo di inventariazione – avviato a seguito dell’istruttoria e in chiusura, secondo quanto prospettato nei prossimi 60 giorni, ed in corso di completamento – il valore già contabilizzato nel 2017 non necessariamente potrà essere negativo, cionondimeno, le scritture in bilancio non possono essere ritenute valide in sede di riclassificazione e accertamento degli equilibri.

Esse, infatti, devono considerarsi poste incerte il cui valore non può quindi essere validamente contabilizzato per l’irregolarità della loro formazione: la presenza dell’inventario, infatti, costituisce “prova legale” unica ed insostituibile dei fatti economici che ne sono oggetto.

Il sistema contabile, del resto, come è noto, è governato dal principio di verità e dal correlato principio di prudenza, che impone che la rappresentazione dei valori sia improntata a cautela: sicché i redattori, a fronte di eventi e valori incerti, devono evitare la sovrastima di attività e ricavi e la sottostima di passività e costi (art. 2243 comma 2 c.c. e IAS n. 1).

A fronte di tale irregolarità, il valore dell’attivo andrebbe abbattuto di € 6.120.659,00, secondo una stima di favore per l’ASL, improntata agli accennati canoni prudenziali, sino a conclusione della inventariazione.

1.1. In secondo luogo, la Sezione, sulla base delle risultanze istruttorie non può non rilevare, allo stato, che:

  1. ii) i valori contabilizzati per i “crediti verso privati” difettano di titolo e contribuiscono all’aumento indebito dell’attivo patrimoniale.

Segnatamente, l’importo di tali crediti, corrispondente a € 7.395.580,00, al netto della svalutazione per FSC, non può essere in nessun modo iscritto, nel rispetto delle regole contabili.

In disparte la confusione numerica che rimane anche dopo i chiarimenti, come dimostra la permanente contraddizione interna dei dati rassegnati (cfr. § 5.3 “considerato in fatto”), la posta non corrisponde a “crediti”, bensì a passività, e quando tale credito astrattamente sia configurabile, vi sono evidenze che la posta medesima andrebbe integralmente svalutata, alla luce del principio di prudenza (art. 2243 comma 2 c.c. e IAS n. 1).

Più nel dettaglio, la fattispecie gestionale sottostante, come chiarito in adunanza pubblica e già evidenziato nelle memorie, corrisponde in genere a pretese di maggiore pagamento da parte dei centri accreditati. A ben vedere, dunque, si è in presenza di passività potenziali o di un debito, da contabilizzare in aumento tra le passività, e giammai di un credito.

1.2. Per contro, laddove la pretesa si sia tradotta in un pagamento se non addirittura in un “doppio pagamento”, appare del tutto evidente che il credito da recupero di cui si tratta è invero una pretesa “giudiziaria”, non riconosciuta, avanzata ai sensi dell’art. 2041 c.c. (ingiustificato arricchimento) o ex art. 2033 c.c. (indebito oggettivo), a fronte di prestazioni già erogate.

Si tratta perciò di un credito che sorge “controverso” in ordine alla spettanza, la cui esigibilità è per definizione dubbia ed aleatoria, presunto o sperato e agganciato agli esiti del contenzioso. Sul piano della contabilità economica, pertanto, esso emergerà solo al momento in cui l’esigibilità sarà certa, quale “sopravvenienza attiva”. La sua contabilizzazione al “valore nominale”, dunque, contrasterebbe con i principi di verità e prudenza e con l’art. 2426, n. 8. c.c.. Al contrario, esso andrebbe integralmente svalutato in modo da non aumentare indebitamente l’attivo.

Di conseguenza l’intero importo di € 6.539.428,49 va ritenuto non idoneo a concorrere al valore di “presumibile realizzazione” dei crediti e dell’attivo patrimoniale.

1.3. Alla luce di quanto sinora emerso, l’accertamento contabile porterebbe ad una depressione dell’attivo patrimoniale pari a: a) € 6.120.659,00, con riguardo ai beni mobili senza inventario; b) € 6.539.428,49, con riguardo ai crediti contabilizzati irregolarmente, mancanti del requisito del “presumibile realizzo” (art. 2426 c.c.).

Ciò stante, a fronte delle due irregolarità contabili sopra passate in rassegna, il cui impatto può essere agevolmente quantificato nei termini riferiti, emerge che le stesse sono in grado di integrare un accertamento di irregolarità-illegittimità ai sensi dell’art. 1, comma 3 del D.L. n. 174/2012, in quanto si traducono in una irregolarità formale tale da modificare l’equilibrio di bilancio.

Sulla quantificazione di detta modificazione si baseranno i comportamenti contabili conformativi dell’ente controllato (modifica delle scritture in sede di successiva rendicontazione, e variazione della programmazione, art. 25 D.lgs. n. 118/2011), nonché le azioni di supporto da parte degli organi tutori (Regione e Stato, ciascuno per le rispettive competenze di sovraintendenza all’erogazione dei LEA e di supporto finanziario, anche nel ottica dell’esercizio del potere sostitutivo, art. 120 Cost.).

  1. La norma oggetto della questione incidentale di costituzionalità. La quantificazione del patrimonio netto, su cui si “scaricano” le minori attività patrimoniali irregolarmente accertate (per la somma totale di euro 12.660.087,49, comprensiva anche alla seconda componente), dipende dalla disciplina legale dello stesso.

Segnatamente, l’impatto di tale illegittimità sugli equilibri di bilancio, ovvero sul valore finale del patrimonio netto (oggetto dell’accertamento contabile), dipende dall’applicazione della disciplina speciale contemplata dall’art. 29 comma 1, lettera c) del D.lgs. 118/2011.

La disposizione recepisce istruzioni tecniche già applicate nel settore, a mezzo di fonti non normative (cfr. «Linee guida per il bilancio delle aziende sanitarie» della Ragioneria generale dello Stato, pubblicate con il Bollettino d’informazioni del 6 giugno 1995 ed emanate a valle del decreto ministeriale 20 ottobre 1994 con il quale sono stati definiti, a suo tempo, gli schemi di bilancio per le aziende sanitarie) che tuttavia avevano avuto applicazioni differenziate nei vari ordinamenti regionali. Segnatamente, mentre il decreto prevedeva la contabilizzazione nel patrimonio netto dei contributi in conto capitale ricevuti dalle regioni (senza null’altro stabilire), le “Linee guida”, per altro verso, prevedevano contemporaneamente la sterilizzazione dell’ammortamento dei cespiti acquistati, tramite lo storno a conto economico del valore già contabilizzato nel patrimonio netto.

La norma legislativa oggi vigente contiene una regolamentazione precipua per la contabilizzazione dei contributi in conto capitale (di seguito anche “in conto investimenti”) ricevuti dalla finanza regionale, nell’ambito della contabilità pubblica sanitaria. Segnatamente: «1. Al fine di soddisfare il principio generale di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta, nonché di garantire l’omogeneità, la confrontabilità ed il consolidamento dei bilanci dei servizi sanitari regionali, sono individuate le modalità di rappresentazione, da parte degli enti di cui all’articolo 19, comma 2, lettera c) e lettera b), punto i), ove ricorrano le condizioni ivi previste, delle seguenti fattispecie: […] c) i contributi in conto capitale da regione sono rilevati sulla base del provvedimento di assegnazione. I contributi sono iscritti in un’apposita voce di patrimonio netto, con contestuale rilevazione di un credito verso regione. Laddove siano impiegati per l’acquisizione di cespiti ammortizzabili, i contributi vengono successivamente stornati a proventi con un criterio sistematico, commisurato all’ammortamento dei cespiti cui si riferiscono, producendo la sterilizzazione dell’ammortamento stesso. Nel caso di cessione di beni acquisiti tramite contributi in conto capitale con generazione di minusvalenza, viene stornata a provento una quota di contributo commisurata alla minusvalenza. La quota di contributo residua resta iscritta nell’apposita voce di patrimonio netto ed è utilizzata per sterilizzare l’ammortamento dei beni acquisiti con le disponibilità generate dalla dismissione. Nel caso di cessione di beni acquisiti tramite contributi in conto capitale con generazione di plusvalenza, la plusvalenza viene direttamente iscritta in una riserva del patrimonio netto, senza influenzare il risultato economico dell’esercizio. La quota di contributo residua resta iscritta nell’apposita voce di patrimonio netto ed è utilizzata, unitamente alla riserva derivante dalla plusvalenza, per sterilizzare l’ammortamento dei beni acquisiti con le disponibilità generate dalla dismissione. Le presenti disposizioni si applicano anche ai contributi in conto capitale dallo Stato e da altri enti pubblici, a lasciti e donazioni vincolati all’acquisto di immobilizzazioni, nonché a conferimenti, lasciti e donazioni di immobilizzazioni da parte dello Stato, della regione, di altri soggetti pubblici o privati».

2.1. La norma consente di contabilizzare il ridetto contributo come un elemento del patrimonio netto (Pn).

La scelta legislativa, sottesa alla classificazione del contributo in conto capitale tra le componenti “speciali” del patrimonio netto delle aziende di erogazione, appare dipendere: a) dalla circostanza che i contributi derivano dagli stessi proprietari del capitale sociale (la regione e indirettamente il sistema sanitario nazionale); b) dal fatto che il trasferimento è sostanzialmente gratuito, al netto della necessità di provvedere al rispetto del vincolo di destinazione, che, una volta rispettato con l’acquisto di un asset di investimento, rimane stabilmente allocato nel patrimonio dell’azienda.

2.2. La regola dell’art. 29 comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011, peraltro, consente, contemporaneamente, con lo stesso contributo, di “sterilizzare” (“annullare”) sul conto economico gli effetti (economici) degli ammortamenti dei cespiti acquistati, tecnica che, normalmente, presuppone l’estraneità della riserva utilizzata a tale scopo, rispetto al patrimonio.

Il Legislatore, dunque, ha operato una scelta che conglomera due prospettive: il contributo aumenta stabilmente la ricchezza dell’azienda sanitaria, e allora può essere contabilizzata nel patrimonio netto. Allo stesso tempo, però, il medesimo contributo, poiché è erogato dalla finanza pubblica con tendenziale sistematicità, può essere utilizzato per annullare il costo di ammortamento dei cespiti acquistati, in quanto non è compito della gestione aziendale provvedere al riacquisto futuro dei beni medesimi.

Tale scelta conduce a considerare il finanziamento dell’acquisto dei beni durevoli (i beni di investimento) delle aziende sanitarie un onore/dovere diretto del sistema della finanza pubblica allargata (regione e indirettamente, lo Stato) e non già un obiettivo del ciclo aziendale dell’Ente sanitario e della sua sostenibilità e, quindi, del patrimonio netto su cui si scaricano gli esiti positivi o negativi della gestione.

Giova rammentare che l’istituto gius-contabile dell’ammortamento, nella contabilità economico-patrimoniale, è direttamente collegato con gli obiettivi di equilibrio e continuità aziendale. Gli ammortamenti, infatti, danno evidenza contabile alla naturale, progressiva perdita di valore cui sono esposte le attività pluriennali aziendali. Tramite una convenzione contabile, si “simula” un costo (corrispondente al fenomeno “naturale” del deterioramento del bene per effetto del tempo e dell’uso), per trattenere risorse all’interno dell’azienda per il futuro rinnovo degli assets, a garanzia dell’auto-sostenibilità del ciclo economico e della continuità aziendale.

Tali costi vengono quindi imputati annualmente al conto economico, in diminuzione del valore dei beni ad utilità pluriennale (immobilizzazioni), trattenendo contemporaneamente tale valore all’interno dell’azienda, che viene così sottratto all’utile.

Dal punto di vista gius-contabile, l’ammortamento è il processo tecnico di ripartizione dei costi pluriennali in costi d’esercizio, secondo il principio di competenza economica. Il concetto è ripreso e disciplinato dall’art. 2426 codice civile, il quale prevede che “il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”.

Tale costo, dovendo essere ammortizzato in ogni esercizio, è compreso dal conto economico, come previsto dall’art 2425 c.c., tra i costi della produzione, al n. 10.

Poiché il conto economico contiene tutti i ricavi e i costi di competenza dell’esercizio, dalla cui differenza si ottiene il risultato economico dell’esercizio (perdita/utile), discende che gli ammortamenti, facendo parte del conto economico, incidono sullo stato patrimoniale in via mediata, tramite il risultato di esercizio. Tanto si desume dall’art. 2425 n. 20 c.c. che prevede il risultato di esercizio, al netto delle imposte, come saldo delle diverse voci del conto economico, e dall’art. 2424 c.c., che prevede l’utile o la perdita dell’esercizio tra le componenti dello stato patrimoniale e precisamente come una voce del patrimonio netto.

2.3. La “sterilizzazione” (l’annullamento) dell’ammortamento, prevista dall’art. 29, comma 1, lett. c), D.lgs. 118/2011, determina invece la copertura degli ammortamenti mediante una riduzione della voce di contributi iscritta al patrimonio netto, in tal modo alterando il risultato del conto economico, che non è più in grado di esprimere il reale andamento dell’esercizio, impedendo così di determinarne l’esatta perdita (o utile) e quindi, in ultima analisi, lo stesso l’equilibrio dinamico del bilancio delle aziende sanitarie.

Il dubbio che induce questo giudice a sollevare questione incidentale di costituzionalità attiene all’inconciliabilità logica di questa doppia parallela scelta tecnica, che rende insanabilmente non veritiero il valore del Patrimonio netto (Pn) finale, inteso come saldo capace di misurare gli equilibri effettivi di bilancio e i doveri di bilancio conseguenti, sia per l’azienda sanitaria che per gli organi tutori.

La tecnica dell’art. 29 del D.lgs. n. 118/2011 devia, infatti, profondamente dalla disciplina civilistica, che ammette tecniche di contabilizzazione diverse e inconciliabili.

Nella disciplina civilistica, la “sterilizzazione” dell’ammortamento è ammessa solo nel caso in cui i contributi siano stati contabilizzati alla stregua di una passività in senso tecnico e, segnatamente, alla stregua di un “risconto passivo”, a titolo di ricavo pluriennale. Non invece quando si contabilizza tale componente come un elemento del patrimonio netto, che non può mai essere impiegato, per statuto tecnico, a copertura di passività certe e determinate, ma solo di perdite.

  1. La legittimazione del “giudice” e la natura del giudizio. Ciò premesso, la Sezione ritiene di essere legittimata a sollevare questione incidentale di costituzionalità, ai sensi dell’art. 1 della L. cost. n. 1/1948 e dell’art. 23 della L. n. 87/1953, sussistendo, a suo avviso, i presupposti soggettivo e oggettivo di a) una “autorità giurisdizionale”, nell’ambito b) di un “giudizio”.

Come è noto, alla giurisdizione della Corte dei conti sono intestate due diverse funzioni reciprocamente integrate: il “controllo” (art. 100 Cost.) e la “giurisdizione” in senso stretto (art. 103 Cost.), nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.

Già in passato il Giudice delle leggi ha riconosciuto la legittimazione di questa Magistratura a sollevare questioni di legittimità costituzionale incidentale anche in sede di controllo, segnatamente, nell’ambito del controllo preventivo di legittimità (sentenze n. 226/1976 e 384/1991), nonché in quello di parificazione dei bilanci statali e regionali (sentenze n. 165/1963, n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995, n. 213/2008; per le parifiche dei bilanci regionali, le sentenze nn. 181/2015, 89/2017, 196/2018 e n. 138 e 146/2019), quest’ultimo caratterizzato da “forme contenziose”. Infine, più di recente, in sede di controllo sui piani di riequilibrio finanziario pluriennale (sentenze n. 18/2019 e n. 105/2019).

Tale percorso ha portato al progressivo riconoscimento della legittimazione della Corte di conti a sollevare questioni di costituzionalità nell’ambito di procedimenti di controllo anche quando non rivestono forma giudiziaria (il giudizio di parifica ed il giudizio di conto, evocati dalla prima parte dell’art. 100, comma 2 Cost.).

Ciò è avvenuto, segnatamente, prima col controllo preventivo di legittimità – che non riguarda direttamente il bilancio, ma singoli atti finanziariamente rilevanti, prima che l’atto stesso diventi efficace (sent. n. 226/1976) – poi nei controlli sull’attuazione dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale (art. 243-bis e ss. TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera del D.L. n. 174/2012), che costituisce uno dei cardini del nuovo sistema di controlli sugli equilibri di bilancio, collegati alla riforma costituzionale del 2012 (cfr. art. 20 L. n. 243/2012).

Il D.L. n. 174/2012, infatti, «in corrispondenza con l’entrata in vigore della legge cost. 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ha dettato disposizioni volte a assicurare effettività al rispetto di più vincolanti parametri finanziari, integrati da principi enucleabili dal diritto europeo» (Corte costituzionale n. 196/2018). Si tratta, segnatamente, di controlli esercitati in forme non contenziose, ma pur sempre “giustiziali” (sent. n. 18/2019), sulla base esclusiva di parametri di legge (sent. n. 60/2013) e che si svolgono con un contraddittorio che tracima nelle forme giurisdizionali contenziose del giudizio dinnanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione (art. 11, comma 6, lett. e) del D.lgs. n. 174/2012, recante il “Codice di giustizia contabile”).

Secondo il Giudice delle leggi, tali controlli, di legittimità-regolarità (sent. n. 39/2014) si distinguono nettamente da quelli c.d. collaborativi”, per i quali – ultimi – l’accesso incidentale alla giustizia costituzionale è negato (C. cost. n. 37/2011). Solo nei procedimenti del primo tipo, infatti, “davanti alla Sezione di controllo”, «ai limitati fini dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede svolta dalla Corte dei conti è, sotto molteplici aspetti, analoga alla funzione giurisdizionale» «[a]nche se […] non [vi] è un giudizio in senso tecnico-processuale» (C. Cost., sent. 226/1976).

Nei controlli di legittimità-regolarità, infatti, il giudice applica norme giuridiche (le quali qualificano la realtà in termini rigorosamente “dicotomici”, cfr. Corte Costituzionale sent. n. 60/2013”); di conseguenza, le sue valutazioni si sostanziano in un “giudizio” di tipo binario, che lo obbliga a qualificare quella stessa realtà in termini di validità/invalidità, legittimità/illegittimità.

Accanto a tale aspetto attinente al contenuto dell’accertamento e al munus del giudice di conferire certezza al diritto del bilancio (a fronte del potenziale conflitto sulla sua applicazione tra gli amministratori e i portatori di interessi finanziari adespoti), i controlli di cui al D.L. n. 174/2012 hanno previsto vari rimedi e conseguenze giuridiche che mirano a garantire l’effettività del medesimo “diritto sul bilancio”, accertato dalla Corte dei conti (Corte costituzionale sent. n. 39/2014, §§ 6.3.4.3.3, 6.3.4.3.2).

Questa seconda peculiarità differenzia in modo ancor più netto i controlli di legittimità-regolarità dai “controlli collaborativi”, in quanto essi non mirano ad ottenere meri effetti auto-correttivi (art. 3, comma 8, Legge n. 20/1994 che prevede un semplice “obbligo di riesame” dell’amministrazione interessata), ma all’esito dell‘accertamento di illegittimità-irregolarità da parte della Corte dei conti comportano, ipso iure, immediate conseguenze giuridiche sulle amministrazioni controllate.

In ragione di tali effetti, il Legislatore ha previsto il sindacato, con le forme piene della giurisdizione contenziosa, dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione, attribuendo il diritto di azione ai soggetti che ne abbiano interesse, ai sensi dell’art. 103, comma 2 Cost. (cfr. Corte costituzionale sent. n. 39/2014, § 6.3.4.3.3 e art. 11, comma 6, lett. e), del Codice di giustizia contabile).

3.1. Tanto premesso, questo giudice ritiene sussistano i requisiti sia di tipo “soggettivo” che di tipo “oggettivo” per sollevare d’ufficio questioni di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 1 della L. cost. n. 1/1948 e dell’art. 23 della L. n. 87/1953, anche nei controlli che la Corte dei conti svolge sul ciclo di bilancio degli Enti del servizio sanitario nazionale (art. 1 commi 3 e 7 del D.L. n. 174/2012).

Quanto al requisito soggettivo la Corte dei conti è indubitabilmente “giudice”.

La Corte costituzionale ha infatti evidenziato che le Sezioni di controllo della Corte dei conti sono composte da magistrati «che, analogamente ai magistrati dell’ordine giudiziario, si distinguono tra loro “solo per diversità di funzioni” (art. 10 legge 21 marzo 1953, n. 161)». Si tratta infatti di una magistratura «annoverata, accanto [a quella] ordinaria ed al Consiglio di Stato, tra le “supreme magistrature” (art. 135 Cost.); istituzionalmente investita di funzioni giurisdizionali a norma dell’art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti è, infatti, l’unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, goda di una diretta garanzia in sede costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976).

Tale requisito è stato confermato anche con riguardo alle Sezioni regionali di controllo (sentt. n. 181/2015, n. 89/2017, n. 18/2019 e n. 105/2019).

La terzietà e la neutralità della Corte dei conti, infatti, è stata riconosciuta anche rispetto al sistema delle autonomie: essa non esercita competenze di natura amministrativa, ma è organo al sevizio del principio di legalità repubblicana e del suo sistema istituzionale multilivello  (art. 114 Cost.): infatti, parallelamente alla riforma del Titolo V, la Consulta ha evidenziato che la Corte dei conti non è espressione organizzativa dello Stato, bensì essa è organo dello Stato-comunità (sentenza n. 29/1995) e dello Stato-ordinamento (sentenza n. sentenze n. 267/2006; nonché nn. 179/2007, 37/2011, 198/2012).

Del resto, la Corte dei conti, nel procedimento di controllo sugli equilibri del bilancio delle autonomie e delle loro appendici organizzative è “super partes”, ossia è doppiamente neutrale: lo è rispetto allo Stato-ordinamento (art. 114 Cost.), nella sua plurale articolazione (Corte Cost. sentenze n. 29/1995, n. 470/1997 e n. 60/2013); ma lo è soprattutto rispetto alla “comunità” di riferimento e agli interessi afferenti al bene della vita che tramite il controllo ricevono tutela obiettiva (il bilancio come bene pubblico). Si tratta, infatti e segnatamente, di interessi finanziari adespoti alla congruità delle risorse per l’erogazione dei LEA, afferenti ai membri della collettività di riferimento. Quest’ultimi, infatti, entrano in una relazione (soltanto) “mediata” col bilancio: di conseguenza, gli “interessati” al bilancio non sono solo gli amministratori, ma anche (ed ancor prima) i cittadini utenti, nonché il “mercato” che interagisce col bilancio, fornendo beni e servizi.

La Corte, quindi, si interpone tra l’interesse degli amministratori pro tempore e quelli della comunità di riferimento, la quale aspira ad uno strumento adeguato di gestione delle risorse per l’erogazione dei servizi. Tale conflitto di interessi è già stato evidenziato dalla Corte costituzionale quando ha sottolineato che «l’incuria del[lo] squilibrio strutturale [dei bilanci] interromp[e] – in virtù di una presunzione assoluta – il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti» (sentenza n. 228/2017).

Il carattere pubblico degli scopi che il bilancio è chiamato a perseguire, attraverso l’adeguatezza delle risorse e, in ultimo, il suo equilibrio rendono lo stesso bilancio un “bene pubblico”. Esso è pubblico nel senso che la verifica degli equilibri, da un lato, consente la accountability dei funzionari pubblici che sono selezionati attraverso meccanismi diretti o indiretti di responsabilità democratica (C. Cost. sent. n. 184/2016), dall’altro, consente l’uguaglianza sostanziale dei cittadini nella percezione e godimento di prestazioni costituzionalmente necessarie (C. cost. sent. n. 10/2016).

Detto in altri termini, l’interesse degli amministratori pro tempore del bilancio, si pone potenzialmente in conflitto con quelli della comunità territoriale di riferimento, non solo per le responsabilità politiche e giuridiche che ne potrebbero conseguire (sia in termini di decadenza del management, che in punto di sindacato diffuso degli organizzatori del servizio), ma anche per gli obblighi giuridici che sorgono in caso di evidenziazione di uno squilibrio strutturale.

In tale caso, infatti, la Corte dei conti si pone in una posizione neutrale rispetto a più soggetti (dalla azienda sanitaria allo Sato, passando dalla regione), verificando ed accertando la “sincerità” dei dati di bilancio e dei suoi saldi, e con essa ponendo le premesse per l’adempimento dei conseguenti obblighi di legge e costituzionali, ai sensi degli artt. 2, 3, 32, e 117 comma 2, lett. n, 119 e 120 Cost., con particolare riferimento i LEA.

3.2. Quanto al requisito oggettivo (“giudizio”), nel procedimento di controllo in corso sussistono tutti gli elementi del “test di giurisdizionalità” elaborato dallo stesso Giudice delle leggi per l’accesso incidentale alla giustizia costituzionale in sede di controllo.

Segnatamente (sent. C. Cost. n. 89/2017, § 2 in diritto):

«a) applicazione di parametri normativi. È da sottolineare, in proposito, come nel procedimento di parifica il prevalente quadro normativo di riferimento sia quello del d.lgs. n. 118 del 2011 e come l’esito del procedimento sia dicotomico nel senso di ammettere od escludere dalla parifica le singole partite di spesa e di entrata che compongono il bilancio (sull’esito dicotomico dei controlli di legittimità-regolarità sui bilanci degli enti territoriali, sentenza n. 40 del 2014);

  1. b) giustiziabilità del provvedimento in relazione a situazioni soggettive dell’ente territoriale eventualmente coinvolte. Infatti, l’art. 1, comma 12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 […], convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, come modificato dall’art. 33, comma 2, lettera a), numero 3), del decreto-legge del 24 giugno 2014, n. 91 […] convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, dispone che avverso le delibere della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti – tra le quali, appunto, quella afferenti al giudizio di parificazione – “è ammessa l’impugnazione alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, con le forme e i termini di cui all’articolo 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267”;
  2. c) pieno contraddittorio sia nell’ambito del giudizio di parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei conti, sia nell’eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest’ultimo venga avviato dall’ente territoriale cui si rivolge la parifica. In entrambe le ipotesi è contemplato anche il coinvolgimento del pubblico ministero a tutela dell’interesse generale oggettivo della regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente territoriale (art. 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, […]; artt. 53 e seguenti del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, […] , ora sostituiti dagli artt. 172 e seguenti dell’allegato 1 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174″). In definitiva, anche nel procedimento di parifica “è garantita la possibilità che gli interessi ed il punto di vista dell’amministrazione, nelle sue varie articolazioni, siano fatti valere nel corso del procedimento. […] D’altronde, sul piano sostanziale, il riconoscimento di tale legittimazione [al giudizio costituzionale] si giustifica anche con l’esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte” (sentenza n. 226 del 1976)».

3.2.1. L’odierno giudizio, infatti, è certamente un controllo di legittimità-regolarità.

Esso viene svolto ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.L. n. 174/2012, il quale riproduce la formulazione ed i contenuti dell’art. 148-bis TUEL (introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del D.L. n. 174/2012 e definito controllo di legittimità-regolarità nella sent. n. 40/2014), con la sola differenza che si espleta sugli enti del servizio sanitario nazionale, con una contabilità di tipo economico-patrimoniale, che non prevende un bilancio preventivo autorizzatorio, ma con sola finalità di indirizzo e programmazione.

Del resto, con riguardo agli Enti del servizio sanitario nazionale, già con la sentenza n. 39/2014, la Corte Costituzionale aveva avuto modo di affermare che «il controllo finanziario attribuito alla Corte dei conti e, in particolare, quello che questa è chiamata a svolgere sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, va ascritto alla categoria del sindacato di legalità̀ e di regolarità̀ – da intendere come verifica della conformità̀ delle (complessive) gestioni di detti enti alle regole contabili e finanziarie – e ha lo scopo, in una prospettiva non più statica (com’era il tradizionale controllo di legalità̀-regolarità̀), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive, funzionali a garantire l’equilibrio del bilancio e il rispetto delle regole contabili e finanziarie» (enfasi aggiunta).

È evidente che non si è dunque in presenza di un controllo meramente “collaborativo”, sia per la definitività dell’accertamento, sia per gli effetti di legge che vi conseguono e che si impongono all’ente controllato e talvolta a terzi (fermo restando il loro diritto di azione ai sensi dell’art. 11, comma 6, lett. e) del Codice di giustizia contabile).

3.2.2. Sotto il primo profilo (contenuto decisorio), l’accertamento di controllo ha la sostanza di una decisione giurisdizionale, in quanto definisce con certezza i saldi del bilancio, rispetto al diritto e al fatto, ad una certa data, e allo stesso tempo partecipa della “definitività” tipica dei provvedimenti emessi in un processo contenzioso.

Costituisce infatti ormai diritto vivente il riconoscimento della idoneità della decisione di controllo sugli equilibri di bilancio a dare stabilità giuridica ai contenuti accertati alla stregua di un provvedimento emesso in sede giurisdizionale. Tanto è stato affermato dalle Sezioni riunite spec. composizione di questa Corte nella sentenza n. 7/2018/EL, in ordine a pronunce emesse nei procedimenti di controllo sul modello dell’art. 148-bis TUEL (e quindi dell’odierno procedimento); similiter, per pronunce emesse per i piani di riequilibrio finanziario pluriennali (art. 243-bis e ss. TUEL), con la sentenza dello stesso giudice n. 64/2015/EL. Per il giudizio di parifica, inoltre, si richiama la deliberazione SS.RR. controllo n. 7/2013/QMIG, in particolare, § 5, ampiamente richiamata da Sez. delle Autonomie n. 14/2014/INPR.

La Consulta, dal canto suo, ha messo in evidenza come le funzioni del controllo e quella giurisdizionale in senso stretto (inteso come processo tra parti) siano strettamente correlate, grazie al “sistema giustiziale” realizzato attraverso la ricorribilità dell’accertamento dinanzi alle Sezioni Riunite in speciale composizione (art. 11, comma 6, lett. e) del Codice della Giustizia contabile), tramite cui la decisione di controllo può acquistare “definitività”: «In sostanza, il sistema giustiziale inerente al controllo di legittimità sui bilanci si connota di norme sostanziali, procedurali e processuali che, attraverso reciproche interconnessioni, mirano […]» ad assicurare la necessaria certezza sullo stato di equilibri e programmare le necessarie azioni correttive a tutela degli equilibri di bilancio, delimando il contrasto sulla interpretazione del diritto o sulla verità del fatto che possono interessare il conto. Per questa ragione, sebbene lo stesso Giudice delle leggi abbia evidenziato che il giudizio sul bilancio, emesso in sede di controllo, sia simile alla “volontaria giurisdizione”, limitatamente al fatto che non vi è «la lite o non vi [è] contraddittorio tra le parti» (sentenza n. 129/1957), allo stesso tempo se ne discosta (sent. n. 138/2019), in ragione del carattere decisorio evidenziato dal diritto vivente.

La decisione di controllo, infatti, non integra la volontà della pubblica amministrazione ed il suo procedimento decisionale, ma arbitra interessi attorno alla corretta interpretazione delle norme del “diritto sul bilancio” e alla verità dei fatti sottostanti e può, invero, innescare un “ricorso ad istanza di parte” dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione.

Il carattere decisorio e giurisdizionale delle decisioni di controllo sugli equilibri di bilancio, del resto, è stato espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale già nel 2012, con precipuo riferimento al giudizio di parificazione del rendiconto regionale (Corte costituzionale, sentenza n. 72/2012, § 2.3. in diritto).

3.2.2.1. In ordine alle regole e allo standard di contraddittorio seguito, oltre a farsi applicazione analogica delle norme a suo tempo adottate dal Legislatore per il controllo preventivo di legittimità (e già ritenute sufficienti, al tempo, per superare il “test di legittimazione per l’accesso alla Corte”, cfr. sent. n. 226/1976), la Corte dei conti, nel procedimento di controllo di cui si tratta, valorizza la norma costituzionale sul “giusto processo” (art. 111 Cost., commi 1 e 2), assicurando il contraddittorio su tutte le risultanze istruttorie e la garanzia dell’adunanza pubblica (che consente di discutere oralmente le memorie scritte sulle contestazioni che vengono preliminarmente portate a conoscenza dell’ente controllato).

Sull’odierna questione, sollevata d’ufficio, è infatti stato consentito all’Amministrazione controllata di presentare le proprie osservazioni e deduzioni, previa ordinanza specifica (n. 106/2019/PRSP), emessa applicando analogicamente il principio generale espresso anche dall’art. 7, comma 2, del Codice della giustizia contabile (il quale rinvia all’art. 101 comma 2 c.p.c.), che impone al giudice di segnalare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio, al fine di provocare la discussione tra le parti stesse e le consequenziali attività assertive e probatorie (cfr. Corte di Cassazione, Sez. II, con la sentenza 11 dicembre 2013, n. 27631).

3.3. Sussistono dunque i requisiti di accesso al giudizio di costituzionalità, sintetizzati nel “test di giurisdizionalità” dallo stesso Giudice delle leggi, ai limitati fini della remissione delle questioni incidentali di legittimità.

Come è evidente tutti i suelencati requisiti sono soddisfatti nel procedimento di controllo ai sensi dell’art. 243-quater, comma 7, TUEL. Infatti:

  1. a) come già evidenziato nella sentenza della Corte Cost. n. 39/2014, si tratta di un controllo di legalità-regolarità;
  2. b) l’accertamento è giustiziabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 11, comma 6, lett. e) del Codice della giustizia contabile (D.lgs. n. 174/2016);
  3. c) è assicurato ampio contraddittorio con il soggetto controllato, al quale si applica in via diretta, l’art. 111 commi 1 e 2 Cost., e, in via analogica, le norme sui procedimenti di controllo previsti dal vigente testo unico della Corte dei conti (T.U. 1214 del 1934) e quelli del Codice di giustizia contabile (art. 7).

3.4. Pur ritenendo che le considerazioni sin qui svolte siano sufficienti a giustificare la legittimazione di questa Magistratura a sollevare incidentalmente questioni di legittimità costituzionale nell’odierno procedimento di controllo, si ravvisa altresì la peculiarità della “zona d’ombra”, per cui la Corte Costituzionale ha più volte ritenuto di interpretare estensivamente l’ambito di una simile legittimazione (sent. n. 1/2014; n. 18/2019; n. 105/2019) e del paramento costituzionale giustiziabile (sentt. n. 196/2018 e n. 138/2019).

Nell’ottica della formazione di pericolose “zone franche” non meno rilevante è la decisione della Consulta n. 107/2016, con la quale è stato evidenziato l’importanza del giudizio incidentale per la verifica imparziale degli equilibri finanziari, a fronte delle possibili inefficienze e del difetto di imparzialità che può affliggere l’iniziativa processuale dello Stato (e mutatis mutandis  delle regioni stesse, all’esito di mediazioni politiche che sacrificano il rispetto del principio di costituzionalità delle leggi). Infatti, i soggetti che sono investiti del potere di impugnare in via principale le leggi devono «tenere comportamenti imparziali e coerenti per evitare che eventuali patologie nella legislazione e nella gestione dei bilanci […] possano riverberarsi in senso negativo sugli equilibri complessivi della finanza pubblica». Diversamente, nei giudizi in via incidentate, la presenza di un giudice, soggetto soltanto alla legge (art. 108 Cost.), assicura un filtro neutrale di eventuali questioni di costituzionalità; la Consulta ha evocato quindi, in modo nemmeno tanto implicito, il ruolo della Corte dei conti, di cui più volte ha sottolineato il carattere di «magistratura neutrale ed indipendente, garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico» (cfr. ex multis Corte costituzionale sent. n. 60/2013).

Questo comportamento imparziale, infatti, è necessario per tutelare le autonomie e allo stesso tempo i valori di uguaglianza (artt. 5 e 119 Cost.) tra i cittadini nelle varie comunità territoriali.

Ciò detto, è del tutto evidente che le norme considerate hanno una natura particolare (C. cost. sent. 1/2014) in quanto, al netto delle ipotesi di impugnazione in via principale, le norme che questo giudice è chiamato ad applicare nell’esercizio della funzione di controllo sui bilanci delle ASL, sarebbero difficilmente sottoponibili altrimenti al controllo di legittimità costituzionale in via incidentale, in quanto la Corte dei conti è l’unico soggetto competente a verificarne la corretta applicazione, tutelando interessi adespoti in posizione di terzietà.

Solo in sede di sindacato di controllo (e in via mediata nell’eventuale, successivo sindacato giurisdizionale) è possibile verificare, da parte di un giudice terzo, la legalità ordinaria e costituzionale nella determinazione dei contenuti del “bene pubblico bilancio”. Legalità che viene posta a presidio di interessi in potenziale (e spesso in concreto) conflitto con quelli di chi predispone il bilancio (l’organo esecutivo dell’ente pubblico), quali gli interessi della comunità di riferimento e quelli delle generazioni future, a carico delle quali si può “scaricare” l’indebitamento, se non addirittura l’impossibilità di proseguire l’erogazione del servizio.

Il “diritto sul bilancio”, infatti, consiste nella definizione dei limiti alla determinazione dei contenuti della fondamentale funzione di allocazione delle risorse pubbliche, rimesse al Legislatore e all’Amministrazione, nel ciclo continuo di rendicontazione e previsione che esso comporta.

Infatti, oggetto del giudizio contabile non è un atto, un’attività o un rapporto sottostante con soggetti determinati (per cui rilevano direttamente situazioni giuridiche soggettive, tipiche della giurisdizione amministrativa o ordinaria, caratterizzate dal principio dispositivo e/o a situazioni giuridiche soggettive in cui si struttura il rapporto con la p.a.), ma è il “processo di bilancio”, fortemente intriso dall’elemento temporale e collegato alla tutela di interessi finanziari adespoti: esso non si sviluppa linearmente, secondo un inizio ed una fine, ma in modo ciclico, senza soluzione di continuità, tra rendicontazione e programmazione, per garantire, appunto, l’ “inderogabile principio di continuità tra gli esercizi finanziari” (Corte costituzionale n. 274/2017 e n. 105/2019).

Ora, è evidente che la disciplina sul bilancio, ed in particolare quella dei suoi saldi, non interferendo direttamente con situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo, difficilmente verrebbe alla cognizione del Giudice delle leggi nell’ambito di un “processo” dispositivo.  Si correrebbe così il rischio di collocare in “zone d’ombra” (sent. n. 196/2018 e nn.18, 138 e 146/2019), sottratte al sindacato di costituzionalità, importanti norme statali e regionali che disciplinano la formazione dei contenuti del bene pubblico bilancio, con l’effetto di lasciare prive di presidio giudiziale aree importanti dell’ordinamento in cui sono regolati interessi di sicuro rilievo costituzionale.

Rispetto a tali norme e alla loro corretta applicazione, infatti, si dispiegano fondamentalmente interessi finanziari adespoti, non anche interessi e situazioni giuridiche soggettive, veicolabili attraverso il processo dispositivo ai sensi dell’art. 24 o 113 Cost., se non nel caso in cui vengano lesi gli interessi soggetti di amministratori pro tempore o di altri soggetti qualificati (cfr. Sezioni riunite spec. composizione nn. 8, 16 e 17/2019/EL)

Tali interessi finanziari e adespoti, infatti, non sono personificati e veicolati direttamente da “parti”, se non, occasionalmente, dalla stessa amministrazione pro tempore che, semmai, si trova in condizione di potenziale conflitto con la comunità di riferimento, rispetto alla quale è tenuta ad osservare il principio di rendicontazione (Corte cost. sent. n. 18/2019).

3.4.1. Inoltre, a causa dell’assenza strutturale del P.M. contabile nel procedimento di controllo dinanzi alla Sezione regionale di controllo (tranne che nel giudizio di parifica), nei giudizi di legittimità-regolarità sui bilanci dell’aziende sanitarie non è possibile negare la legittimazione del giudice a sollevare d’ufficio le questioni di legittimità costituzionale delle norme che distorcono la rappresentazione degli equilibri di bilancio.

Infatti, in caso di accertamento di controllo conforme ad una legge di dubbia costituzionalità, ma favorevole agli interessi concreti del management (il quale, per ciò stesso, non ha interesse ad instaurare un giudizio dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione), l’interesse al ripristino della legalità costituzionale non potrebbe essere veicolato in altro modo dinanzi alle Sezioni giurisdizionali, in assenza di controinteressati.

3.4.2. Pertanto, alla luce di queste considerazioni, ancora una volta occorre affermare la legittimazione della Sezione regionale di controllo a sollevare questione incidentale di costituzionalità, in ragione della duplice esigenza di «garantire il principio di costituzionalità» ed «evitare che si venga a creare una zona franca del sistema di giustizia costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014, punto 2 in diritto, Corte costituzionale nn. 18, 105, 138 e 146/2019).

In tali casi, il «preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalità insidierebbero), insieme con l’altro della osservanza della Costituzione» vieta di ritenere esiziale la circostanza che il giudizio di controllo non si svolga con le formalità tipiche della giurisdizione contenziosa, in quanto dalla «distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai contorni sovente incerti e contestati)» potrebbe derivare la “grave conseguenza” della formazione nell’ordinamento di “zone d’ombra” o “franche” sottratte al sindacato di costituzionalità (Corte cost. sent. n. 226/1976).

Ciò “giustifica […] l’esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte” (Corte cost. sent.  n. 384/1991), attraverso un “giudice”, pur in assenza delle forme del “processo” contenzioso; si tratta cioè di garantire che anche la disciplina ordinaria che presiede alla formazione ed alla tutela del bilancio possa essere giustiziata secondo Costituzione, quando tale disciplina entra in conflitto con i fondamenti della Carta fondamentale.

  1. La rilevanza. Il giudice contabile, nell’ambito del procedimento di controllo ai sensi dell’art. 1, commi 3 e 7 del D.L. n. 174/2012, è tenuto ad enunciare direttamente o indirettamente, in che termini la misura del patrimonio netto è stata modificata applicando la disciplina contabile generale (art. 2424 codice civile) e speciale (art. 29 del D.lgs. n. 118/2011) all’uopo prevista.

Infatti, i comportamenti conformativi che devono scaturire da tale accertamento (art. 1, comma 7, D.L. n. 174/2012) non sono solo conseguenza della modifica degli equilibri rendicontati, ma anche della loro misura, nel senso che il comportamento necessitato può variare in funzione del grado di variazione virtuale che l’irregolarità hanno comportato in termini di patrimonio netto, specialmente nel caso in cui emerga un patrimonio netto negativo.

In buona sostanza, sussiste un rapporto di pregiudizialità tra la definizione del giudizio innanzi a questo giudice e la questione di costituzionalità delle norme che disciplinano il patrimonio netto dell’azienda sanitaria.

In proposito si osserva che la disciplina del patrimonio netto delle aziende sanitarie è in parte direttamente determinata dal Legislatore (art. 29 D.lgs. n. 118/2011). Segnatamente, tale articolo comprende tra le componenti di tale saldo i “contributi in conto capitale” (comma 1, lett. c) ) sui quali – come anticipato – la Sezione ha avanzato, nel corso del procedimento, dubbi di costituzionalità. Più nel dettaglio, la Sezione dubita della razionalità della contemporanea classificazione di tale componente nel patrimonio netto e, allo stesso tempo, del suo diretto impego in funzione di “sterilizzazione” di un costo specifico del conto economico, ovvero, del costo contabile c.d. di “ammortamento”.

In termini di rilevanza, ciò comporta che le irregolarità accertate, nel caso di incostituzionalità della norma, porterebbero ad una più importante riduzione virtuale del patrimonio netto, con la riclassificazione del patrimonio stesso in termini, addirittura, negativi.

Conseguentemente, diversi sarebbero gli obblighi conformativi (le c.d. “misure correttive”) a valle dell’accertamento, non solo per l’ente controllato, ma anche per gli organi tutori.

Per tale ragione il Collegio ritiene di sollevare d’ufficio pregiudiziale questione di legittimità costituzionale sulla speciale disciplina, prevista per il patrimonio netto negli enti del servizio sanitario nazionale (SSN), e segnatamente sull’art. 29, comma 1, lett. c), del D.lgs. n. 118/2011 relativo alla tecnica di contabilizzazione dei contributi in conto capitale e del loro impiego a “sterilizzazione” dell’ammortamento dei cespiti con gli stessi acquistati.

4.1. Le criticità evidenziate dovrebbero portare questo Giudice a considerare come insussistente:

– l’attivo per € 6.120.659,00, per minori immobilizzazioni materiali mobili (assenza di inventario);

– crediti dell’attivo patrimoniale per € 6.539.428,49 (a causa dell’incongruenza tra dati di bilancio in Stato patrimoniale, Conto economico, e contabilizzazione di debiti come crediti).

Tali irregolarità incidono sul patrimonio netto per circa 12,6 milioni di euro.

Per l’effetto, all’esito di questo giudizio, si dovrebbe accertare l’esistenza, comunque, di un patrimonio netto in diminuzione, ma positivo, nel caso in cui la norma dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 ritenuta priva di vizi di legittimità costituzionale, e negativo, invece, nel caso in cui la stessa norma fosse incostituzionale.

L’applicazione dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 è infatti sempre rilevante nel procedimento di controllo sugli equilibri, perché contribuisce a determinare la effettiva dotazione del patrimonio netto (e quindi l’equilibrio dinamico e complessivo tra fonti ed impieghi, nella continuità degli esercizi) e l’effettivo flusso di variazione derivante del conto economico (l’equilibrio di reddito per ciascun esercizio economico, tra costi e ricavi, che agiscono in variazione del patrimonio).

4.2. Più nel dettaglio, L’ASL ha puntualmente seguito la tecnica di legge, contabilizzando il contributo tra le componenti del patrimonio netto eppur tuttavia consentendone il suo impiego a “finanziamento” delle sterilizzazioni degli ammortamenti.

Così operando l’ASL ha realizzato nell’ultimo triennio i seguenti equilibri patrimoniali:

 

Tabella 1: evoluzione del Patrimonio netto dell’ASL di Caserta.

Stato patrimoniale 2015 Stato patrimoniale 2016 Stato patrimoniale 2017
Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo
P.N.
Contributi   Contributi   Contributi  
invest.               103.968.611 invest. 72.991.470 invest. 72.095.853
Altro                  92.530.156 Altro 1.295.661 Altro 824.982
Perdite   Perdite   Perdite  
 a nuovo -287.274.585  a nuovo -88.085.756  a nuovo 0
P.N. – 90.775.818     P.N. -13.798.625     P.N. 72.920.835
Passivo 761.645.254 Passivo 638.539.005 Passivo 614.270.524
Totale 670.869.436 Totale 670.869.436 Totale 624.740.380 Totale 624.740.380 Totale 687.191.359 Totale 687.191.359

 

Nel triennio si è assistito ad un miglioramento del Pn, in quanto la Regione Campania, in adempimento ai propri doveri istituzionali, dopo lunghi cicli economici negativi, è intervenuta progressivamente con “contributi in conto perdite”.

4.3. Il valore effettivo del Pn risulterebbe tuttavia diverso se si desse coerente rappresentazione all’impiego “reddituale” dei contributi in conto investimenti, i quali, impiegati per sterilizzare gli ammortamenti dei cespiti acquistati, si comportano alla stregua di una passività.

Detto in altri termini, il “contributo in conto capitale”, pur inserito nel “patrimonio netto”, si comporta distonicamente rispetto alla natura ed alla funzione propria di tale grandezza contabile, realizzando, piuttosto, il comportamento tipico di un “risconto passivo” (art. 2424-bis, comma 6, c.c., Voce E, del passivo patrimoniale, ai sensi dell’art. 2424 c.c.).

Il risconto passivo è infatti una passività che serve ad accantonare nello Stato patrimoniale “proventi percepiti entro la chiusura dell’esercizio, ma di competenza di esercizi successivi”.

Nella disciplina civilistica, normalmente, il contributo in conto investimenti viene considerato alla stregua di un “ricavo pluriennale straordinario” (il contributo in conto impianti) che potrà essere utilizzato a copertura di correlati “costi futuri” per ammortamento, nel rispetto del principio della competenza economica.

Pertanto, se la norma fosse dichiarata incostituzionale, in ragione dell’irrazionalità intrinseca e non paritaria della scelta tecnico-contabile compiuta in situazioni simili per altri enti pubblici, allora, il saldo del patrimonio netto varierebbe profondamente.

4.3.1. Qualora – valorizzando il carattere stabile della contribuzione pubblica, per la sua gratuità e non reclamabilità in restituzione – si ritenesse esente da vizi di legittimità costituzionale la contabilizzazione del “contributo in conto capitale” nel patrimonio netto ed incostituzionale il solo meccanismo della c.d. “sterilizzazione dell’ammortamento”, il giudizio porterebbe, in prima battuta, ad una correzione del solo risultato di esercizio (dell’anno di riferimento), e comunque, in seconda battuta, ad una modifica del patrimonio netto finale (del ciclo aziendale complessivo).

Ove fosse dichiarata incostituzionale tale seconda parte del meccanismo di contabilizzazione (l’impiego sterilizzativo del contributo in investimenti), il patrimonio netto subirebbe una variazione negativa rispetto all’attuale valore registrato nella Tabella 1.

Infatti, il valore del contributo in conto capitale, impiegato nel 2016 e nel 2017 per “sterilizzare” gli ammortamenti, dovrebbe essere virtualmente “stornato” dal conto economico, il quale registrerebbe una forte diminuzione del risultato di esercizio. Per questa via, si avrebbe comunque una riduzione del patrimonio netto, tramite il diverso valore della voce “utile/perdita di esercizio”. Si tratterebbe, in tal caso, di una variazione in aumento o riduzione del patrimonio netto, per effetto della performance complessiva della gestione, con il conseguente recupero della natura del contributo, coerente con le altre componenti del patrimonio netto, quale “capitale di rischio” a sostegno della continuità aziendale.

Nel sistema attuale il “provento di sterilizzazione” per storno da “patrimonio netto” viene contabilizzato alla voce CE, A.7 (nel 2017, € 6.458.258,00).

 

Tabella 2. Conto economico dell’ASL di Caserta

 

Conto economico Bilancio di esercizio 2016 Bilancio di esercizio 2017 Differenza
Valore della produzione € 1.458.120.275,00 € 1.495.116.643,00 € 36.996.368,00
Costo della produzione € 1.442.135.022,00 € 1.455.634.069,00 € 13.499.047,00
Differenza € 15.985.253,00 € 39.482.574,00 € 23.497.321,00
Proventi ed oneri finanziari +/- € -1.512.274,00 € -1.513.320,00 € -1.046,00
Rettifiche di valore di attività finanziarie +/-     € 0,00
Proventi ed oneri straordinari +/- € 8.896.292,00 € -16.901.185,00 € -25.797.477,00
Risultato prima delle imposte +/- € 23.369.271,00 € 21.068.069,00 € -2.301.202,00
Imposte dell’esercizio € 22.073.608,00 € 20.588.965,00 € -1.484.643,00
Utile (Perdita) dell’esercizio +/- € 1.295.663,00 € 479.104,00 € -816.559,00

 

Limitando la declinazione di tale ipotesi alle sole “sterilizzazioni” intervenute nel 2017, in cui si è registrato un risultato di esercizio pari ad € 479.104,00 (cfr. Tabella 2), la Sezione, nel caso di incostituzionalità, dovrebbe accertare un risultato di conto economico diverso da quello contabilizzato: il risultato di esercizio effettivo dovrebbe essere ridotto di € 6.458.258,00 (per la cancellazione virtuale dei “proventi da sterilizzazione”), con un risultato di esercizio effettivo e finale di € -5.979.154,00.

Al termine del giudizio, dunque, la Sezione dovrebbe accertare non un “utile”, ma una “perdita”, con una riduzione del patrimonio netto di pari misura e l’obbligo di adottare misure correttive diversamente adeguate, per fronteggiare in futuro, tramite il budgeting, i costi di ammortamento (art. 25 D.lgs. n. 118/2011).

In tal caso, sarebbe evidente uno squilibrio strutturale della performance di gestione, che l’Ente sarebbe chiamato ad eliminare, provvedendo alla copertura degli ammortamenti con i ricavi dell’ordinario ciclo di gestione.

Sussisterebbe infatti l’obbligo dell’Ente di ri-organizzare il proprio ciclo di produzione del reddito, in modo da garantire la copertura piena del costo degli ammortamenti, tramite i propri ricavi.

Infatti, eliminata la possibilità di impiegare una componente del patrimonio netto come fonte diretta di copertura e sterilizzazione degli ammortamenti, il bilancio dovrebbe contabilmente operare nella duplice prospettiva (tipica del patrimonio netto): a) che i costi di ammortamento e la loro copertura fanno parte del rischio di gestione (al cui presidio è conferito, appunto, il patrimonio netto), b) che vi è incertezza sulla possibilità e quantità di nuovi “conferimenti” tramite contribuiti in conto capitale (nel presupposto che il contributo stesso è straordinario, eventuale e legato alle alterne vicende del sistema della finanza pubblica allargata).

4.3.2. Qualora invece – considerando la contribuzione un evento straordinario e una vicenda di rischio che per legge viene sostenuta ed affrontata dalla finanza pubblica allargata (e non dal bilancio della singola azienda sanitaria) – si dovesse ritenere irrazionale, ed incostituzionale, la “patrimonializzazione” del contributo (ed invece coerente la contabilizzazione dello stesso contributo alla stregua di un “risconto passivo”, come avviene, di norma, secondo la disciplina civilistica) il giudizio sulla consistenza del patrimonio netto, e quindi sugli equilibri complessivi, porterebbe ad esiti ancora diversi.

La simulazione degli effetti della contabilizzazione (di seguito riportata), alla stregua di un “risconto passivo”, porterebbe ad abbattere il patrimonio netto per un importo corrispondente esattamente al valore di tali contributi.

La Sezione ha provveduto a riclassificare il Pn dell’Asl di Caserta, nettando i contributi in conto capitale; tale operazione di riclassificazione ha restituito i seguenti valori:

 

Tabella 2: evoluzione del Patrimonio netto riclassificato dell’ASL di Caserta.

Stato patrimoniale 2015 Stato patrimoniale 2016 Stato patrimoniale 2017
Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo
Contributi Contributi Contributi
invest. 92.530.156 invest. 1.295.661 invest. 824.982
Altro Altro Altro
Perdite -287.274.585 Perdite -88.085.756 Perdite 0
 a nuovo  a nuovo  a nuovo
(a )P.N. -194.744.429     P.N. -86.790.095     P.N. 824.982
(b) Risconto Passivo 103.968.611 Risconto Passivo 72.991.470 Passivo 72.095.853
    (c) Rimanente Passivo 761.645.254     Rimanente Passivo 638.539.005       614.270.524
Totale

Attivo

670.869.436 Totale Passivo (a+b+c) 670.869.436 Totale Attivo 624.740.380 Totale Passivo 624.740.380 Totale Attivo 687.191.359 Totale Passivo 687.191.359

 

Ne riviene che ove la Sezione riclassificasse il patrimonio netto considerando il contributo alla stregua della disciplina di diritto comune, il patrimonio stesso diventerebbe negativo ed emergerebbe un’esigenza di ripiano e rifinanziamento, atteso che le criticità rilevate – come sopra descritte – sono potenzialmente in grado di determinare una diminuzione del “netto” per oltre 12,6 milioni, a fronte di un Pn riclassificato (nettato, cioè, del contributo in conto capitale) di soli € 825 mila.

4.4. L’esposizione dei dati contabili nelle tabelle 1, 2 e 3, in definitiva, dimostra che la tecnica di rappresentazione dei contributi in conto capitale non è neutra rispetto alla rappresentazione e all’accertamento degli equilibri economico-patrimoniali, attraverso il patrimonio netto.

Gli effetti conformativi (ex art. 1, comma 7, del D.L. n. 174/2012), correlati all’accertamento compiuto dal Giudice (ex art. 1 comma 3, del precitato D.L.), quindi, sarebbero assai differenti, dovendosi nel caso di incostituzionalità della norma, compiere modifiche più profonde delle successive scritture contabilità, ed evidenziare perdite che dovrebbero portare a conseguenti azioni di ripiano, anche con il concorso della regione.

  1. Della non manifesta infondatezza. In via preliminare si osserva che, sulla base del tenore letterale della disposizione, non è possibile dare della norma di cui si fa questione un’interpretazione diversa, e comunque conforme al combinato disposto degli artt. 81/97 Cost. e “con gli altri precetti finanziari di rango costituzionale” (sentenza. n. 274/2017, § 4.4 in diritto), in particolare l’art. 3 Cost.

Il Collegio è ben consapevole che nell’ambito dei compiti e delle valutazioni che la legge e la Costituzione affidano al “giudice a quo” (Corte costituzionale, sentenza n. 221/2015, 262/2015; n. 45/2016; n. 95/2016; n. 240/2016) vi è anche quello di verificare preliminarmente se non sia possibile dare una applicazione “conforme” a Costituzione della disposizione “rilevante”, attraverso una adeguata operazione esegetica (Corte costituzionale, ex plurimis, sent. n. 356/1996; sentt. n. 219/2008 e n. 1/2013).

Nel caso di specie, tuttavia, tale operazione non è praticabile. Ciò in quanto, la formulazione della legge è chiara e non si presta a diverse interpretazioni, indicando in maniera evidente il meccanismo di contabilizzazione del contributo, nelle varie fasi. La norma, infatti, prevede dettagliatamente, prima, l’iscrizione del contributo nel patrimonio netto, poi illustra la tecnica di impiego dello stesso nel conto economico, per “sterilizzare” i costi di ammortamento.

Inoltre, la norma, è uniformemente applicata da tutti gli enti del sistema sanitario nazionale allo stesso modo, né risultano interpretazioni divergenti da parte degli organi giudiziari di controllo, quasi che costituisca “diritto vivente”.

Del resto, qualsiasi interpolazione del testo è incompatibile con la lettera e le finalità della norma linearmente desumibile dalla lettura della disposizione, la quale intende includere – con ogni evidenza – il contributo nel patrimonio netto e allo stesso tempo utilizzarlo (“stornare a provento”) a copertura degli ammortamenti.

Qualsiasi interpretazione diversa della norma in riferimento, da quella imposta dalla sua lettera, condurrebbe perciò alla “rottura” del testo o a soluzioni esegetiche “eccentriche” (Corte costituzionale, sent. n. 36/2016).

La disposizione, si ripete, codifica chiaramente le modalità di contabilizzazione al patrimonio netto e successivamente la riduzione dello stesso per effetto della “sterilizzazione” dei costi di ammortamento come se fosse un ricavo pluriennale (contabilizzato, secondo il diritto comune, in forma di risconto passivo, ai sensi dell’art. 2424-bis, comma 6, c.c.) da portare a copertura di costi futuri e non capitale di rischio, destinato a ridursi soltanto in relazioni al successo o all’insuccesso (equilibrio o squilibrio) del conto economico.

Nel caso di specie, pertanto, nell’attuale formulazione della legge, la Sezione regionale di controllo, può solo prendere atto del patrimonio netto così come ricostruito dall’Azienda sanitaria e sullo stesso applicare la correzione virtuale di 12,6 milioni (corrispondente alle criticità evidenziate nei paragrafi precedenti), con le conseguenze che discendono per la legge in termini di “misure correttive”; misure che, ovviamente, sarebbero certamente più rigorose , in caso di dichiarazione di incostituzionalità della norma.

5.1. Violazione del combinato disposto dell’art. 97, comma 1, 81 Cost. e 3 Cost. Irragionevolezza della costruzione normativa del saldo. La norma in questione, contrariamente a quanto di solito avviene in materia contabile, contiene una disciplina puntuale della tecnica di rappresentazione contabile di una fonte (il contributo in conto capitale).

Giova rammentare, in proposito, che gli enti del servizio sanitario adottano il sistema di contabilità di diritto comune (art. 26 e art. 19 lettere b), punto i), c) e d) del comma 2 del D.lgs. n. 118/2011), salvo alcune norme di diritto speciale.

La declinazione speciale di tale disciplina e la diversione dal modello civilistico sono del resto collegate alle precipue finalità della contabilità pubblica, che qualificano lo stesso bilancio, (inteso come “ciclo” e non come “atto”), alla stregua di un “bene pubblico” (cfr. Corte cost. sentenze n. 184/2016, n. 80/2017, n. 228/2017, n. 247/2017, n. 49/2018 e ordinanza n. 7/2019).

Tale carattere pubblico è infatti espressione delle diverse finalità che sono intestate agli  ente pubblici rispetto ad una azienda di diritto privato: in primo luogo, l’obbligo del bilancio di rendere una trasparente rappresentazione degli equilibri, in ragione della sua diretta ancillarità al principio democratico, tramite la c.d. accountability (art. 1 Cost.); in secondo luogo, la necessità di assicurare la continuità dell’azione della pubblica amministrazione, per le precipue finalità di erogazione che contrassegnano gli enti pubblici, in termini di funzioni e servizi (“il buon andamento”, ai sensi dell’art. 97, comma 2 Cost.).

La continuità viene garantita, come nei bilanci delle aziende in contabilità civilista, tramite la sostenibilità della produzione: ergo, tramite l’equilibrio tra risorse ed impieghi, tra costi e ricavi.

Come già evidenziato, la disciplina contabile degli ammortamenti, nel sistema accrual (contabilità economico-patrimoniale), è strettamente coessenziale a tale finalità.

Della centralità e della inderogabilità del principio di continuità anche nella contabilità pubblica ha più volte trattato il Giudice delle leggi (cfr. sent. nn. 274/2017, n. 49/2018 e n. 105/2019), così come della sua stretta interrelazione con la clausola generale di equilibrio (sentt. n. 192/2012 e n. 184/2016). Eppur tuttavia, preme qui evidenziare che l’equilibrio e la continuità evocati dall’endiadi degli art. 81 e 97, comma 1 Cost., se da un lato mirano all’autosostentamento e alla capacità di produrre valore sufficiente al rinnovo dei cicli di produzione/erogazione, come per ogni sistema contabile e come per ogni bilancio, dall’altro lato, non mirano al profitto o alla mera creazione di valore, a differenza che nel settore privato.

L’equilibrio e la continuità e, più a monte il corollario della “sincerità” di bilancio, nella contabilità pubblica mirano l’accountability del ceto politico-amministrativo, ex art. 1 Cost., nonché all’uguaglianza sostanziale dei cittadini sul territorio nazionale e nel tempo (c.d. solidarietà intergenerazionale), ex art. 3, comma 2, ed art. 2 Cost. .

Allo stesso tempo, l’equilibrio presuppone più a monte la ragionevolezza della decisione di bilancio, vale a dire, in ragione degli obiettivi citati, l’adeguatezza e la proporzione tra risorse e funzioni (C. cost. n. 10/2016), tra finalità e tecniche di calcolo dei saldi (sent. nn. 247 e 274/2017): in buona sostanza, il “diritto sul bilancio” e la decisione di bilancio medesima devono corrispondere a scelte razionali, nell’ottica del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, commi 1 e 2, Cost.)

La manipolazione del bilancio e dei concetti contabili, ed in particolare delle regole che presidiano la costruzione dei saldi, invero, se effettuata per via legislativa, può portare a trasformare situazioni di squilibrio in forme di equilibrio “simulato” (Corte cost. sentt. n. 274/2017 e n. 105/2019), con ciò vanificando la portata precettiva della regola costituzionale che impone al bilancio di fornire costantemente una rappresentazione veritiera e congrua della realtà, in modo da consentire anche le eventuali modifiche gestionali e contabili necessarie al recupero nel tempo dello stesso squilibrio evidenziato.

5.2. In questo contesto, si sottolinea, l’emanazione di norme speciali di diritto pubblico divergenti dallo standard civilistico, non solo è ammissibile, ma è spesso necessitata dalle peculiari funzioni ed esigenze pubbliche. Simili esigenze, però, devono emergere chiaramente dalla struttura della norma e devono rendersi evidenti all’interprete.

Così avviene con riguardo all’esigenza di assicurare una misurazione omogenea ed uniforme dei fabbisogni di risorse attraverso l’equilibrio di bilancio (art. 117, comma 2, lett. e Cost.), espressamente evocata dal Legislatore nell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 (“garantire l’omogeneità, la confrontabilità ed il consolidamento dei bilanci dei servizi sanitari regionali”) e riconoscibile nella esigenza di evitare rappresentazioni secondo opzioni alternative che non consentano la raffrontabilità e misurabilità dei risultati di bilancio.

Non altrettanto riconoscibile appare la pur altrettanto dichiarata capacità della norma oggetto della questione di soddisfare la chiarezza e sincerità dei risultati di bilancio e dei suoi equilibri.

A volere individuare la volontà del Legislatore del 2011 negli stessi intenti dichiarati nelle “Linee guida” che congegnarono il meccanismo della sterilizzazione in uno con la contabilizzazione dei contributi in conto capitale nel patrimonio netto (Linee guida per il bilancio delle aziende sanitarie» della Ragioneria generale dello Stato, del 6 giugno 1995, cfr. supra § 2), se lo scopo fosse veramente (e solo) quello di evitare un’eccessiva crescita del Pn stesso (per effetto della periodicità dei ridetti contributi) la scelta tecnica risulterebbe del tutto sproporzionata e priva di fondamento tecnico.

In tali “Linee guida” si legge che l’uso di una componetene del patrimonio netto per effettuare le sterilizzazioni sarebbe dipeso dalla esigenza di evitare che negli anni si «[…] determini la dilatazione del contenuto dei conti Contributi in c/capitale da Regione o Prov. Autonoma indistinti o vincolati e, dall’altro, l’esposizione di perdite di esercizio causate dall’incidenza delle suddette quote di ammortamento sui costi. Pertanto, allo scadere del periodo di ammortamento, si giungerà all’azzeramento dell’intero contributo in c/capitale utilizzato […]».

Se le motivazioni fossero queste, la scelta sarebbe indubbiamente “sproporzionata”: anche senza la “sterilizzazione”, il patrimonio netto, in base alla sua generale struttura tassonomica, avrebbe dovuto ridursi, ugualmente e progressivamente, durante tutto il periodo di ammortamento dei cespiti. Ciò si sarebbe infatti comunque verificato a causa del risultato di esercizio inferiore emergente dal conto economico, per effetto della mancata “copertura” dei costi di ammortamento che, invece, vengono “sterilizzati”. I costi di ammortamento, infatti, devono essere “coperti” con un miglioramento dei ricavi; se questi invece vengono “annullati” col meccanismo della sterilizzazione, si dissimulano perdite. Tali perdite, da sole, consentirebbero di realizzare l’obiettivo di non “dilatare” una componente del patrimonio netto, destinata naturalmente ad essere abbattuta tramite i risultati negativi di esercizio via via emergenti.

La stessa scelta, inoltre, sarebbe “priva di fondamento tecnico” poiché la “contropartita” tassonomica della sterilizzazione dei costi di ammortamento tramite la componente contabile “contributi in conto capitale”, infatti, è la sua trasformazione da capitale di rischio a passività certa e futura (con ciò intendendosi l’impegno a “riservare” – cioè conservare – il provento stesso per la “copertura” dei costi di ammortamento).

In buona sostanza, evitare “l’esposizione di perdite di esercizio […] causate dall’incidenza delle suddette quote di ammortamento sui costi” appare l’unico obiettivo chiaro e coerente del Legislatore del 2011 (già dichiarato a suo tempo dal “regolatore tecnico” del 1995) che rimane però in contraddizione con lo scopo di evitare la “dilatazione” del patrimonio netto, per effetto della sua componente speciale “contributi in conto capitale”.

In altre parole, la contabilizzazione nel Pn e la volontà, anch’essa dichiarata, di evitare una registrazione di perdite in conto economico, hanno l’effetto paradossale di far crescere in modo improprio il patrimonio netto nel periodo di ammortamento, rendendo opachi – e sviando dalla loro funzione – entrambi i saldi della contabilità economico-patrimoniale: il patrimonio netto ed il risultato di esercizio.

L’opacità che risulta dall’opzione esecutata dal Legislatore si può per contro rendere evidente mediante un “test di ragionevolezza”, condotto per verificare l’alterazione della tassonomia contabile.

Nel caso di specie, tale “test di ragionevolezza” deve essere condotto su due versanti:

1) da un lato, sul terreno della capacità del patrimonio netto di svolgere la funzione contabile sua propria, secondo lo statuto epistemologico delle scienze ragionieristico-aziendali;

2) dall’altro, sul piano della coerenza interna dell’ordinamento contabile, verificando se a fronte di situazioni analoghe (enti egualmente pubblici ed in contabilità civilistica) l’ordinamento non abbia dato soluzioni diverse.

Sul primo versante, si tratta di verificare la scelta legislativa in relazione al parametro costituito dall’endiadi degli art. 81 e art. 97, comma 1, Cost., sotto il profilo della capacità dell’equilibrio di garantire il “buon andamento della pubblica amministrazione” e di raggiungere gli scopi precipui della contabilità e del bilancio pubblico (art. 1 e 2 Cost. in particolare la trasparenza e la solidarietà). Sul secondo versante, invece, si tratta di individuare i casi di diverso e ingiustificato trattamento di situazioni similari, in violazione del principio di uguaglianza (art. 3), quale l’indice ulteriore di evidente irrazionalità.

Il test viene condotto sotto l’aspetto più generale della capacità della scelta tecnica compiuta dall’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 di garantire l’obiettivo della chiarezza (corollario della clausola generale di equilibrio), precisando sin da subito che la chiarezza (con la clausola generale di cui è espressione) è essa stesso un obiettivo strumentale a valori sostanziali di rilevanza costituzionale.

Solo tramite l’equilibrio e la “sincerità dei suoi saldi”, infatti, è possibile garantire l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. e art. 27 della Legge n. 42/2009) tramite un adeguato e possibile livello di finanziamento (cfr. in tal senso Corte cost. sent. n. 6/2019, che evidenzia come le prestazioni costituzionalmente necessarie rilevano tra i “criteri di priorità della spesa pubblica” e quindi dell’allocazione delle risorse).

In secondo luogo, la ragionevolezza può non riguardare solo la legge di spesa (cfr. ex multis, sentenze n. 6/2019, n. 10/ 2016, n. 155/2015 e n. 10/2015), ma anche (ed ancora più a monte) il “diritto sul bilancio” che disciplina la rappresentazione dei saldi (cfr. sentt. n. 247/2017, n. 274/2017 e n. 105/2019).

Le scelte di rappresentazione dei saldi, del resto, sono state più volte, sottoposte al sindacato di ragionevolezza, sub specie di violazione diretta degli artt. 81 e 97 Cost. Tanto è accaduto sia nel caso di manipolazioni e abusi della tecnica contabile che hanno vanificano le finalità del saldo di finanza pubblica (Corte cost. sent. n. 247/2017, § 10 in diritto), sia nel caso della alterazione della logica e razionalità matematica interna del risultato di amministrazione (sentenza n. 274/2017).

Esiste, in definitiva, una stretta interrelazione tra il rispetto dell’equilibrio di bilancio e la ragionevolezza del “diritto sul bilancio”.

5.3. Per effettuare il primo test di coerenza interna, rispetto allo scopo di “soddisfare il principio generale di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta”, occorre preliminarmente ricordare che: 1) in primo luogo, il principio di “sincerità” del bilancio è esso stesso un corollario, anzi, il presupposto, del precetto dell’equilibrio di bilancio; 2) in secondo luogo, la struttura delle norme che costituiscono il “diritto sul bilancio” è assai peculiare.

Con riguardo al primo aspetto, come specifica il principio contabile generale n. 5 dell’Allegato 1 del D.lgs. n. 118/2011: «il sistema di bilancio deve essere comprensibile e deve perciò presentare una chiara classificazione delle voci finanziarie, economiche e patrimoniali (principio della chiarezza o comprensibilità). Il principio della chiarezza o comprensibilità è rafforzativo del principio base della veridicità. Al fine di consentire una rappresentazione chiara dell’attività svolta, le registrazioni contabili ed i documenti di bilancio adottano il sistema di classificazione previsto dall’ordinamento contabile e finanziario, uniformandosi alle istruzioni dei relativi glossari. L’articolazione del sistema di bilancio deve essere tale da facilitarne – tra l’altro – la comprensione e permetterne la consultazione rendendo evidenti le informazioni previsionali, gestionali e di rendicontazione in esso contenute».

I principi di chiarezza, comprensibilità e veridicità sono quindi sinteticamente ascrivibili ad un più generale principio di “sincerità del bilancio”, che si pone come evidente declinazione del precetto costituzionale dell’equilibrio (artt. 81 e 97 Cost.) perché consente di verificarne la sua effettiva sussistenza.

In secondo luogo, lo stesso principio di sincerità declinato nella richiamata disposizione del D.lgs. n. 118/2011 (assurgendo a parametro interposto di costituzionalità) presuppone infatti un rigoroso rispetto della tassonomia contabile espressa dalla scientia artis di riferimento. In generale, infatti, le norme contabili e il “diritto sul bilancio” fanno ampio rinvio alla scienza tecnica (ovvero le scienze ragionieristico-aziendali), la quale offre una serie di principi logici, talvolta codificati in apposite raccolte di standards di comportamento e rappresentazione (le c.d. best pratctices), da parte di categorie ed associazioni professionali.

Tali principi logici e tali raccolte di “normazioni tecniche” assumono rilevanza, rispetto alle norme giuridiche che hanno titolo nelle fonti del diritto ed in particolare in legge o atti aventi forza di legge, alla stregua di “fonti-fatto”, fatti notori, o precomprensioni concettuali, la cui struttura deontica integra la fattispecie normativa delle fonti del diritto in senso stretto (fonti-atto).

Le discipline tecniche contenute in tali “fonti-fatto” (OIC, IAS, IPSAS) – ed in generale quelle della c.d. “normazione tecnica” (come è stato evidenziato in dottrina) – hanno una struttura ipotetico-prescrittiva (se si vuole B, si deve porre in essere A) che lascia aperta la scelta nel caso concreto, rispetto agli scopi perseguibili.

Nel rispetto della discrezionalità politica rimessa al Legislatore (art. 28 L. n. 87/1953) le norme giuridiche che compiono direttamente la scelta tra queste opzioni rappresentative possibili non possono porsi in contrasto con gli scopi costituzionali cui si è fatto cenno, alla stregua della peculiare funzione dell’equilibrio nei bilanci pubblici. Un difetto di sincerità/chiarezza, infatti, preclude l’attivazione delle conseguenze giuridiche a presidio dell’effettiva erogazione dei LEA e delle responsabilità manageriali a seguito della accountability.

Ferma restando, dunque, la discrezionalità politica del Legislatore (art. 28 della L. n. 87/1953), le scelte da questo compiute, nel rispetto del principio di costituzionalità, non possono sottrarsi ad un “test di proporzionalità” (cfr. C. cost. n. 1/2014 e n. 272/2015).

Nel caso della norma in riferimento occorre in primo luogo considerare che le opzioni offerte dalla tecnica consentono di scegliere tra due modalità di rappresentazione contabile alternative, giammai cumulative.

Del resto, gli standards di rappresentazione contabile, cui rinvia la disciplina civilistica, costituiscono un indice minimo di coerenza sistematica e di chiarezza secondo l’ “episteme” ragionieristico-aziendale. Infatti, codificati in raccolte provenienti da associazioni di categoria professionali (segnatamente, gli OIC, gli IAS, gli IPSAS), tali standards esprimono ipotesi coerenti di applicazione dello statuto epistemologico delle scienze ragionieristiche aziendali, che costituiscono la precomprensione alla base delle norme giuridiche che dispongono l’applicazione della contabilità civilistica. Le norme sono quelle più volte evocate del D.lgs. n. 118/2011, che a loro volta richiamano la struttura e la logica del bilancio in partita doppia e di tipo economico-patrimoniale, adottato dalla disciplina di diritto comune (art. 2424 c.c.).

5.3.1. Tanto premesso, le valutazioni critiche della sospettata norma, espresse in termini di incoerenza ed inconciliabilità, trovano conferma nelle elaborazioni codificate dalla scientia artis in appositi standards contabili.

Come già evidenziato, l’art. 29 comma 1 lett. c) del D.lgs. n. 118/2011, per la contabilizzazione dei contributi in conto capitale, cumula il “metodo patrimoniale” (contabilizzazione del contributo stesso nel patrimonio netto) ed il “metodo reddituale” (contabilizzazione del ridetto contributo come “ricavo pluriennale”, utilizzabile per annullare, recte “sterilizzare”, i costi pluriennali di ammortamento negli anni successivi).

I paradigmi logici e matematici per la costruzione del patrimonio netto e dell’equilibrio di gestione (risultato di esercizio) offerti dalla scientia artis, presupposti dalla contabilità civilistica (richiamata dagli art. 26 e art. 19 lettere b), punto i), c) e d) del comma 2 del D.lgs. n. 118/2011), evidenziano l’impossibilità di cumulare le due tecniche, sebbene restituiscano l’evidenza della possibilità di due scelte alternative, tendenzialmente privilegiando il metodo reddituale (cfr. OIC n. 16, dallo IAS n. 20 e dall’IPSAS n. 23).

Secondo l’OIC n. 16, spec. punto nn. 86, 87 e 88, infatti, per i contributi pubblici a fondo perduto, commisurati al costo delle immobilizzazioni materiali (c.d. “contributi in conto impianti”), occorre accendere sul conto economico un costo per “risconto”, tramite cui accantonare un importo equivalente nello stato patrimoniale (alimentando la voce “risconto passivo”). Tale accantonamento si traduce in una riserva vincolata ad uno scopo specifico, la quale può essere portata a “provento”, di anno in anno, man mano che maturano gli ammortamenti dell’attivo correlato, sterilizzando l’impatto economico negli esercizi successivi.

Analoga tecnica contabile è prevista dallo IAS n. 20 (in particolare dal punto 24 al punto 28).

OIC e IAS, dunque, considerano il “contributo in conto impianti” alla stregua di un “ricavo pluriennale”, accantonabile in una passività dello stato patrimoniale, a fronte di futuri e certi costi pluriennali di ammortamento.

Tutti gli istituti della contabilità economico-patrimoniale finora considerati (“risconto passivo”, “debito pluriennale”, ecc.), quindi, finiscono tendenzialmente per tradurre il contributo in conto impianti in un ricavo pluriennale e poi in una passività contabile pluriennale, da utilizzare per sincronizzare i costi pluriennali di ammortamento con i ricavi pluriennali, nel rispetto del principio della competenza economica.

Peraltro, in passato, lo stesso IAS n. 20 (in una precedente formulazione), al paragrafo 15, prevedeva la possibilità di una contabilizzazione diretta al “patrimonio netto” del contributo in conto investimenti. Esso, in alternativa al risconto passivo, poteva essere considerato come apposita riserva – ben distinta – tra le voci del patrimonio netto medesimo (“metodo patrimoniale diretto”). Anche in tale caso, però, non era previsto che il contributo (iscritto al patrimonio netto) servisse anche per “sterilizzare” i costi di ammortamento, attesa la natura di capitale di rischio che in tal caso si conferiva al contributo. Ciò costituiva evidenza del carattere alternativo delle due principali impostazioni di contabilizzazione dei contributi pubblici.

Per il vero, la letteratura dello IAS n. 20, paragrafo 27, non esclude altresì il c.d. “metodo patrimoniale indiretto”, basato sulla detrazione del valore del contributo dal costo dei cespiti acquistati, a mo’ di “fondo svalutazione crediti”, che riduce il valore dei crediti dubbi.  Tuttavia, anche con questo metodo (“patrimoniale indiretto”) si separa chiaramente la vicenda della determinazione del valore del patrimonio netto, commisurato alla differenza attività e passività, e la vicenda contabile dell’ammortamento: l’eventuale ammortamento del valore residuo (per la parte netta del valore dei cespiti acquistati) non viene infatti sterilizzato, né parallelamente il patrimonio netto aumenta in ragione del contributo. Infatti, per effetto della compensazione diretta tra attivo e valore del contributo, che opera alla stregua di un “fondo di ammortamento”, il contributo si comporta come una passività che viene subito scontata sulle attività.

Nel settore pubblico internazionale, infine, gli IPSAS (n. 23, punti 37 e 38) – laddove venga adottata la contabilità accrual e la partita doppia – si limitano a prescrivere la necessità di verificare se il trasferimento ha le caratteristiche di un “provento” o di un “conferimento di proprietà”, con le conseguenze contabili che ne derivano. Sulla base di tale disamina l’IPSAS n. 23 autorizza, impliciter, ad adottare il metodo reddituale (accendendo analoghi meccanismi di riserva tra le passività per garantire il rispetto del principio della competenza economica, anche con un debito pluriennale) ovvero il metodo patrimoniale (ponendolo a patrimonio netto), senza in nessun modo procedere a commistione tra le due differenti tecniche contabili che le due scelte rappresentative presuppongono.

In definitiva, alla luce degli standards contabili:

  1. a) se si fa prevalere la prospettiva della stabile destinazione all’attività aziendale del contributo in conto capitale, (specie dopo l’adempimento del dovere pubblico di destinazione, con l’acquisto del bene al quale il contributo è destinato) occorre considerare il contributo stesso come “capitale di rischio” (a carattere straordinario) e, nell’ottica della solidarietà intergenerazionale e della continuità aziendale, a garanzia della continuità aziendale, il conto economico deve registrare “ricavi” sufficienti ad auto-finanziare l’acquisto futuro di altri cespiti della stessa natura, tramite la “copertura” dei costi di ammortamento. Ciò anche in considerazione di due dati di realtà: a) il valore dei cespiti decade col tempo e con l’uso (ammortamento); b) data la limitatezza delle risorse pubbliche che forniscono “il contributo in conto impianti”, non c’è nessuna garanzia che tale elargizione pubblica in futuro sarà nuovamente erogata;
  2. b) per contro, se si intende valorizzare la destinazione del contributo all’acquisto del cespite ed il carattere “esterno” del finanziamento, allora occorre considerare che tramite la “sterilizzazione” la fonte dell’acquisto si collega direttamente a costi e debiti “reali”, relativi all’ammortamento. In tal caso, non è ammissibile la contabilizzazione diretta a “patrimonio netto” del contributo, in quanto – così facendo – si aumenta direttamente la consistenza patrimoniale mediante una componente che si comporta, invece ed in tutto, come una passività.

5.3.2. Nella logica del rispetto dell’intrinseca razionalità delle regole che presiedono la contabilità economica, dunque, non è possibile “cumulare” l’iscrizione del contributo al “patrimonio netto”, per acquisto di beni ammortizzabili, e contestualmente utilizzare il medesimo contributo per la “sterilizzazione” degli ammortamenti relativi allo stesso bene con esso acquistato. Una simile esposizione contabile, com’è evidente, sottende una duplicazione di impieghi della medesima risorsa, con risultati non rispondenti a canoni di “sincerità”, di “rappresentazione veritiera” e, in ultima analisi, di reale equilibrio.

Se, infatti, si cumulano classificazione a Pn e “sterilizzazione”, come fa l’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011:

  1. a) il Pn si accresce indebitamente di risorse che sono ab orgine stabilmente destinate al servizio della copertura dei costi di ammortamento e che comunque nel tempo sono “certamente” destinate a sparire, in quanto elemento del ciclo di reddito di esercizi futuri. In questo modo, il contributo in conto capitale, che per la sua relazione con costi specifici si comporta come una passività, va ad accrescere indebitamente il Pn finale;
  2. b) il conto economico (CE) non è in grado di evidenziare l’eventuale incapacità dei ricavi di sostenere la continuità aziendale e il rinnovo degli impieghi. In pratica, il CE non consente di verificare l’economicità della gestione. Del resto, non vi è nessuna garanzia che in futuro i beni ad utilità pluriennale che costituiscono investimento (le immobilizzazioni) e che generano i ricavi di produzione/erogazione siano finanziati da nuovi e successivi contributi pubblici.

La struttura normativa dell’art. 29, comma 1, lett. c), del D.lgs. n. 118/2011, dunque, rivela che l’unico effetto prodotto è quello paradossale di una contemporanea sopravvalutazione dei risultati di esercizio e del patrimonio netto, in pieno e diretto contrasto rispetto agli scopi della contabilità pubblica, per giunta dichiarati in esordio dal Legislatore nell’art. 29, comma 1 D.lgs. n. 118/2011.

Appare evidente la contraddizione della scelta compiuta rispetto allo scopo dichiarato, ovvero, “soddisfare il principio generale di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta”, determinando un vizio di ragionevolezza della scelta tecnica effettuata dal Legislatore.

Pertanto, ad avviso di questo giudice, la tecnica “ibridata” elaborata dal Legislatore, appare intrinsecamente irrazionale ed in contrasto con il precetto dell’equilibrio e con gli scopi stessi della contabilità pubblica e del bilancio come bene pubblico, in quanto mina la capacità del Pn di dare trasparente rappresentazione degli equilibri economico-patrimoniali.

5.4. La stessa scelta tecnica compiuta dal Legislatore, inoltre, appare discriminatoria e incoerente “esternamente”, con riferimento cioè al trattamento normativo previsto dall’ordinamento per altri enti pubblici in contabilità civilistica.

Il riferimento, in particolare, è al sistema delle università, ai sensi dell’artt. 16, 17 e 18 del D.lgs. n. 91/2011, nonché, ai sensi degli artt. 1 e 7 del D.lgs. n. 18/2012.

Anche le Università, invero, sono in regime di contabilità civilistica, vale a dire in “contabilità economico-patrimoniale”.

La disciplina di dettaglio, per le Università, è rimessa ad una normazione secondaria, emanata ai sensi degli artt. 2 e 9 del medesimo D.lgs. n. 18/2012, che rinvia ad appositi decreti ministeriali di concerto tra MIUR e MEF.

Con il decreto interministeriale 14 gennaio 2014, n. 19 (Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze), sono stati adottati i “Principi contabili e schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale per le università”.

In particolare, il relativo articolo 8 prevede la predisposizione e l’aggiornamento periodico di un “Manuale Tecnico Operativo” (fonte terziaria) a supporto delle attività gestionali, da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, avvalendosi della Commissione di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 18.

Il Legislatore, non avendo fatto una scelta diretta, ha in realtà presupposto il sistema di contabilizzazione previsto dai vigenti standards, in virtù del rinvio all’art. 2424 c.c., richiamato dalla normativa primaria sulla contabilità degli enti universitari. Tale sistema prevede la “sterilizzazione” mediante la tecnica del “risconto passivo” o di una passività patrimoniale, senza comunque determinare un surrettizio aumento diretto del patrimonio netto.

Ed infatti, gli organi ministeriali tecnici, delegati alla scelta del metodo di contabilizzazione in conformità alla legge, nel “manuale tecnico operativo” (adottato con decreto direttoriale), hanno optato per la “sterilizzazione” attraverso il “risconto passivo” (Decreto Direttoriale n. 1055 del 30 Maggio 2019 e conformemente anche il precedente Decreto Direttoriale n. 1841 del 26 Luglio 2017) senza prevedere alcuna “ibridizzazione” tra contabilizzazione al Pn e sterilizzazione degli ammortamenti.

5.5. In conclusione, l’excursus ed il test di coerenza interna ed esterna, sin qui svolti, evidenziano che la scelta compiuta dal legislatore con la sospettata norma è incompatibile con la tassonomia della contabilità economico-patrimoniale, secondo la scienza ragionieristico aziendale, presupposta dalla D.lgs. n. 118/2011 e dal codice civile, richiamato dal medesimo D.lgs. n.118/2011, in quanto stravolge significato e funzione del patrimonio netto.

Come si è già brevemente accennato, la “sterilizzazione reddituale” dell’ammortamento corrisponde all’idea di fondo che non è onere del bilancio dell’azienda sanitaria reperire le risorse, in autofinanziamento, per il rinnovo e l’acquisto del comparto “beni durevoli” (investimenti), poiché a tale incombenza provvede regolarmente la finanza derivata statale e regionale.

In questa ottica (metodo reddituale) il contributo può essere considerato un “ricavo pluriennale” impiegabile per “dare copertura” ai costi futuri e certi di ammortamento.

Di conseguenza lo stesso contributo non può incidere, né in aumento né in diminuzione sulla dotazione patrimoniale (patrimonio netto), perché non è ricchezza stabilmente affidata all’azienda a copertura di eventuali e future perdite, ma a servizio di costi specifici, certi e futuri.

Per altro verso, però, la gratuità e non reclamabilità della restituzione del “contributo in conto capitale”, soprattutto dopo l’effettuazione dell’acquisto del cespite, ben potrebbe indurre a far considerare il contributo stesso come parte stabile del capitale di destinazione ed aumento della ricchezza disponibile.

Entrambi gli scopi concreti, correlati alle caratteristiche della gestione degli enti del servizio sanitario nazionale e dei contributi in conto investimenti, sarebbero compatibili con quelli della contabilità pubblica ed in particolare con il principio di sincerità; cionondimeno, la commistione contabile delle due tecniche porta ad effetti inconciliabili, denaturando la funzione del patrimonio netto.

Considerare il contributo in capitale come elemento del patrimonio netto (metodo patrimoniale), in ragione dell’aumento di ricchezza che determina, presuppone che esso sia considerato “capitale di rischio” e per l’effetto che possa diminuire solo all’esito della gestione complessiva.

Ciò comporta, peraltro, che il conto economico deve farsi carico pienamente dei costi di ammortamento.

Questa opzione ha un duplice effetto di trasparenza: da un lato, costringe il conto economico ad evidenziare se ha un’effettiva capacità di produrre ricavi sufficienti alla copertura di tutti i costi, compreso quello “naturale” di ammortamento; dall’altro lato, in caso di perdite, rende isolabile, all’interno del patrimonio netto, la “componente” perdita da quella del contributo.

Una siffatta trasparenza consente, dal canto suo, di isolare, al momento della decisione sui trasferimenti da parte del principale stakeholder (la regione) quali sono i diversi fabbisogni: quello da ripiano e quello da finanziamento dell’acquisto di nuovi beni durevoli.

Diversamente ragionando, gli stessi contributi in conto capitale rischierebbero di essere destinati a finanziarie il pagamento dei debiti pregressi, compensando il pregresso deficit di risorse, senza essere destinati, per cassa, allo scopo per cui sono stati erogati.

Questo duplice effetto di trasparenza viene frustrato dalla scelta contabile dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011, che consente di usare il patrimonio netto per le sterilizzazioni degli ammortamenti: il conto economico, infatti, non restituisce l’informazione sulla sua reale efficienza, ed il patrimonio netto, invece, viene sovrastimato da un elemento periodico (il contributo in conto capitale) che si comporta alla stregua di una passività e che non è destinata ad assorbire le perdite, ma costi di un tipo specifico, certi e futuri (gli ammortamenti).

I due scopi rappresentativi (evidenziare il carattere esterno del finanziamento; evidenziare l’aumento della ricchezza patrimoniale), pertanto, portano a scelte contabili inconciliabili, poiché sovrapporre il primo scopo al secondo significa denaturare il patrimonio netto e la sua capacità di misurare la ricchezza e la performance aziendale.

5.6. Ridondanza della irragionevolezza delle scelte tecniche in tema di equilibri (artt. 81, 97, Cost. 3, comma 1, Cost.) sulla violazione dell’artt. 97, comma 2 (buon andamento), e degli artt. 1, 3, comma 2, nonché degli artt. 2 e 32. Cost.  In definitiva, in ragione delle evidenze di incoerenza interna ed esterna sopra passate in rassegna, l’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 appare porsi in contrasto con la clausola generale dell’equilibrio di bilancio (artt. 81 e 97 Cost.), nella misura in cui ne viola i presupposti, consistenti: a) nella ragionevolezza delle scelte del Legislatore, in termini di tassonomia contabile e quindi b) nella “sincerità” stessa del bilancio (e dei suoi saldi) e di conseguenza nei suoi stessi scopi fondamentali.

Segnatamente, il difetto di ragionevolezza, misurabile tramite gli indici di (in)coerenza interna, di cui si è fatto ampio richiamo, esonda in un difetto di chiarezza e coerenza tassonomica dei saldi.

La violazione dei presupposti stessi del precetto dell’equilibrio, determina la lesione di valori e scopi costituzionali, in una relazione di intrinseca strumentalità del primo ai secondi: la clausola generale dell’equilibrio dei bilanci pubblici, infatti, come evidenziato nella sentenza C. cost. n. 18/2019, implica ex se la necessità del rispetto di fondamentali valori costituzionali, quali la riconduzione dell’esercizio del potere alla legittimazione democratica, tramite l’accountability, e la solidarietà intra e inter-generazionale. Nella più recente sentenza n. 146/2019 ancora si evidenzia che l’equilibrio (codificato negli artt. 81 e 97 Cost.) è un precetto costituzionale collegato a «beni-valori», configurando tra l’equilibrio (ed il bene pubblico “strumentale” costituito dal bilancio) e tali valori (beni finali) un rapporto di “mezzo a fine”.

Tali valori e la capacità del “diritto sul bilancio” di non pregiudicarli, costituiscono dunque il paramento del “buon andamento” della pubblica amministrazione, non a caso menzionato nel comma 2 dell’art. 97 Cost.. Si configura così una relazione di protasi-apodosi tra il comma 1 (che impone l’equilibrio del bilancio) ed il comma 2 dell’art. 97 Cost (“buon andamento”). In buona sostanza, ove il “diritto sul bilancio”, a causa di una violazione del precetto dell’equilibrio, si riveli inefficiente rispetto a questi obiettivi, esso implica altresì una violazione dell’art. 97, comma 2, Cost..

È infatti ormai jus receptum che, dopo la riforma costituzionale del 2012, l’equilibrio di bilancio costituisce, anche sul piano sistematico-normativo, premessa (art. 97, comma 1, Cost.) del “buon andamento” (art. 97, comma 2, Cost.).

In questa ottica, il Giudice delle Leggi non ha mancato di evidenziare come l’equilibrio dei bilanci sia “prodromico al buon andamento” (v. sent. n. 247/2017, § 8.5 in diritto), per realizzare il quale, del resto, sono necessari trasferimenti adeguati alle prestazioni pubbliche essenziali da rendere ai cittadini. La mancanza di una siffatta adeguatezza, mina alle basi la funzione e la ragionevolezza del trasferimento stesso, per difetto di equilibrio, con impossibilità – in concreto – di realizzare un qualsivoglia “buon andamento” amministrativo (v. Corte cost. sent. n. 188/2015, § 5.2 e n. 10/2016, § 6.1 in diritto).

Fermo quanto sopra, nel caso di specie, si assume sussista altresì una violazione dell’art. 3 Cost., sia come parametro (insieme al buon andamento) della necessaria ragionevolezza della legge, sia come principio che impone l’uguaglianza delle prestazioni costituzionalmente necessarie.

Mentre, ad avviso di questo giudice a quo, appare ormai chiaro il fondamento della violazione del principio di ragionevolezza, occorre evidenziare che la sospettata norma determina altresì un diretto pregiudizio alla capacità del bilancio di assicurare l’uguaglianza sostanziale e di garantire l’adempimento dei doveri di solidarietà al servizio del diritto alla salute (art. 2 e 32 Cost.), sulla base di un’eziologia che di seguito si espone.

La predetta norma, per espresso richiamo dell’art. 29, comma 1 del D.lgs. n. 118/2011, si applica sia ai bilanci delle singole aziende sanitarie (art. 19 comma 2, lettera c) D.lgs. n. 118/2011) e sia al bilancio della GSA (art. 19, comma 2, lett. b), e sotto lettera i)).

Il difetto di chiarezza di tali bilanci, derivante dalla ripetuta norma, ha un effetto negativo sinergico, perché da un lato non consente alle regioni di avere immediata e piena contezza del momento in cui è necessaria un’azione di ripiano e, dall’altro, pone problemi generali di tenuta, in termini di effettiva resa del servizio sanitario (per quantità e qualità delle prestazioni costituzionalmente necessarie, ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost.).

La chiarezza e ragionevolezza della disciplina dei saldi, infatti, è la premessa per l’intrapresa di azioni positive da parte dello Stato e delle regioni, volte a garantire il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.), in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (artt. 3 e 117 comma 2 lett. m) Cost.) e secondo il principio della sostenibilità dei costi per l’organizzazione del servizio sanitario (che è garanzia di lungo periodo della stabile ed effettiva erogazione dei LEA, in condizioni di efficienza e di equilibrio economico-finanziario). Ciò anche e soprattutto in un sistema di relazioni fra enti territoriali che valorizza le autonomie ed il principio costituzionale di solidarietà (artt. 2, 3 comma 2, 5, 114, 117 comma 2 lett. m), 119 Cost.).

Si soggiunge, che il non colto difetto di risorse, non rimediato con azioni finanziarie positive della regione interessata e indirettamente dallo Stato, costituisce esso stesso un fattore di probabile ulteriore deterioramento del bilancio.

La carenza strutturale di risorse, infatti (dissimulata da un patrimonio netto solo apparentemente positivo per effetto di una irragionevole tassonomia), si traduce inevitabilmente nella incapacità dell’azienda sanitaria di assicurare standard dei servizi e dei LEA quantitativamente e qualitativamente adeguati.

Il peggioramento della qualità e quantità dei LEA, a sua volta, favorisce la “mobilità passiva” verso regioni che non sono storicamente affette da simili difficoltà.

Ciò comporta, prospetticamente, una riduzione ulteriore dei ricavi delle regioni affette da deficit strutturali e, con essi, dalla capacità di assicurare una performance adeguata, secondo la legge e la Costituzione, in termini di qualità e quantità dei servizi. Conseguentemente, anche il patrimonio netto, in prospettiva, è destinato a subire gli effetti di una ulteriore riduzione dei risultati di esercizio.

In definitiva, il difetto di ragionevolezza e chiarezza dei saldi si traduce in un fattore di inefficienza dei sistemi sanitari regionali, che espone prima il diritto alla salute al rischio di prestazioni sotto il minimum standard, poi, col tempo, alla erosione ulteriore degli equilibri di bilancio (per difetto di competitività, con aumento della mobilita passiva e riduzione dei ricavi) e quindi alla certezza della erogazione dei LEA non eguale e garantita su tutto il territorio nazionale.

Non ultimo, la mancanza di chiarezza sugli equilibri effettivi di bilancio degli enti del Servizio Sanitario impedisce anche di far valere i meccanismi della contabilità di mandato (art. 1 Cost.) nei confronti di tutti i soggetti interessati dall’organizzazione del sistema sanitario a beneficio dei cittadini.

***

5.7. In conclusione, la disciplina “ibrida” dell’art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011 contiene una scelta tecnico legislativa irrazionale che, oltre a tradire la logica generale della contabilità economico-patrimoniale, si pone in contrasto con le fondamentali funzioni della contabilità pubblica, non consentendo di verificare se sussistono effettivamente le risorse nello stato patrimoniale e gli equilibri di conto economico, in grado di garantire, nella continuità degli esercizi, la prosecuzione dell’attività aziendale e l’erogazione dei LEA.

Infatti, come già detto dalla Consulta per il risultato di amministrazione nella contabilità pubblica finanziaria, anche per il patrimonio netto, la mancanza di «chiarezza tassonomica del legislatore […] “l’assenza di un [saldo  univoco], l’incongruità degli elementi aggregati per il suo calcolo e l’inderogabile principio di continuità tra gli esercizi finanziari […] non essendo utilmente scindibili gli elementi che ne compongono la struttura […], pregiudicano irrimediabilmente l’armonia logica e matematica che caratterizza funzionalmente il perseguimento dell’equilibrio del bilancio” (sentenza n. 274 del 2017; in tal senso, sentenza n. 49 del 2018)» (sent. n. 105/2019).

Il meccanismo di rappresentazione e impiego prescelto dal Legislatore per i contributi in conto capitale (art. 29, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 118/2011), innesca una contraddizione insanabile: utilizzando lo stesso contributo come una riserva al servizio di specifici costi futuri e certi (l’ammortamento), la ricchezza di cui si tratta non si comporta più come un saldo residuale (quale è il patrimonio netto, inteso quale saldo differenziale tra attività e passività), ma come una riserva già impegnata al servizio di una passività (costi pluriennali), economicamente neutra che non può quindi andare ad accrescere il valore del patrimonio netto.

In tal modo il saldo del patrimonio netto viene irrimediabilmente alterato, precludendo l’esatta misurazione degli equilibri. Trattasi di una preclusione che ha un evidente impatto, in una prospettiva di medio-lungo periodo, sull’equilibrio del bilancio regionale e sulla effettiva garanzia del diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.).

Per tale ragione, preliminarmente, occorre sollecitare una pronuncia del Giudice delle leggi sul dubbio di costituzionalità di questo giudice sull’art. 29, comma 1, lettera c) del D.lgs. n. 118/2011.

 

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania

Solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, lettera c) del D.lgs. n. 118/2011, in riferimento ai parametri stabiliti degli articoli artt. 97 e 81 Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2, 3 e 32 Cost.  

Ordina la sospensione del giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l’esame della questione.

Dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, ai sensi dell’articolo 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia notificata:

–        all’ente sanitario quale parte in causa, segnatamente al Presidente del Consiglio di amministrazione* e al Presidente della regione come rappresentante pro tempore dell’ente proprietario dell’azienda;

–        al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Dispone altresì che la presente ordinanza sia comunicata dalla Segreteria anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2019.

 

Il Magistrato Estensore                                                       Il Presidente

Francesco Sucameli                                                Fulvio Maria Longavita

 

*Con deliberazione n°149 del 17/07/2019 (allegata alla

presente deliberazione che ne costituisce parte integrante),

la Sezione ha disposto la correzione dell’errore materiale                               Depositata in Segreteria

relativa alla qualifica del rappresentante dell’Ente Sanitario                          il 17 luglio 2019

e per l’effetto, laddove è scritto: “Presidente del Consiglio di                  Il Direttore della Segreteria

amministrazione”, deve leggersi: “Direttore Generale”.                               dott. Mauro Grimaldi

 

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