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Nota alla sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2021: la disciplina dell’armonizzazione contabile condiziona l’applicazione dell’obbligo di copertura?

di Clemente Forte e Marco Pieroni

Sommario: 1. La questione e la motivazione di non fondatezza; 2. Qualche considerazione metodologica; 3. L’iter logico della pronuncia e i profili non esplicitamente affrontati dalla Corte: a) l’interpretazione dell’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18/2020; b) la portata normativa dei decreti ministeriali c.d. correttivi del d.lgs. n. 118/2011; c) la ricaduta di tali disposizioni sull’eventuale violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 81, terzo comma, Cost.; d) la norma di copertura di cui alla legge della Regione Abruzzo n. 20 del 2020. 4 Un approfondimento sulla presunta neutralità delle norme interessate. 5. Conclusioni.

1. La questione e la motivazione di non fondatezza.

In sintesi, la sentenza verte su due punti.

L’art. 5, comma 2, della legge della regione Abruzzo n. 20 del 31 luglio 2020 – che dispone, utilizzando una possibilità prevista da legge statale (art. 111, comma 4-bis, d.l. n. 20/2020), di utilizzare miglioramenti nel piano di rientro per altri scopi mediante variazioni di bilancio riduttive della spesa di accantonamento del disavanzo e incrementative di quella per i nuovi scopi – non sarebbe in contrasto con l’art. 81, terzo comma Cost., come da impugnativa del Presidente del Consiglio dei ministri. Ciò in quanto l’ordinamento, all’epoca dell’approvazione della legge regionale, non avrebbe previsto un piano di rientro di dettaglio, non presentato infatti dalla Regione in questi termini, secondo la sentenza, il che renderebbe la norma di cui all’art. 5, comma 2, coerente con la disposizione costituzionale relativa alla copertura, in quanto la Regione legittimamente si sarebbe avvalsa della norma statale che consente il libero utilizzo del maggior rientro e quindi la possibilità di variare il bilancio per nuove finalità.

Invero, secondo la Corte, l’art. 111, comma 4-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 “non prevede che debba essere approvato un piano di rientro dettagliato, come invece pretende la censura governativa”; né la normativa regionale sarebbe in contrasto con la disciplina di cui decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 7 settembre 2020 (Aggiornamento degli allegati al decreto legislativo n. 118 del 2011) – entrato in vigore in data successiva (2 ottobre 2020) alla promulgazione della legge regionale (31 luglio 2020) – che ha previsto, all’art. 2 (Allegato 4/2 – Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria), nei paragrafi da 9.2.25 a 9.2.30, una disciplina analitica del piano di rientro dal disavanzo.

Piuttosto, gli artt. 5 e 6 della legge della Regione Abruzzo n. 20 del 2020 sarebbero coerenti con la disciplina generale del ripiano del disavanzo di amministrazione prevista dall’art. 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché con la previsione speciale di cui all’art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, applicabile al ripiano del disavanzo della Regione Abruzzo che si limita a richiedere, conformemente alla regola generale, che in esso siano «individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio».

Pertanto, secondo la Corte, non sarebbe censurabile la circostanza che la Regione Abruzzo si sia avvalsa nelle norme regionali impugnate, efficaci dal 6 agosto 2020, della facoltà di cui all’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, nel rispetto della normativa allora vigente, ma senza aver «approvato un piano di rientro dettagliato».

Talché, il maggior recupero della quota annuale di ripiano del disavanzo potrebbe essere legittimamente scomputato dalla quota annuale successiva per essere “applicata” (rectius, appostata per la voce spesa ad, esempio, nel 2020 per 80, quando nel 2019, il recupero con quote costanti di 100 era stato contabilizzato in 120, con un anticipo sul recupero del piano di rientro di 20 da destinare ad altre esigenze di spesa), quale sopravvenuta risorsa libera, a copertura di nuovi o maggiori oneri (art. 81, terzo comma, Cost.) previsti con legge regionale, ma limitatamente all’esercizio in cui sia acclarato lo scomputo della predetta quota annuale per l’intervenuto maggior ripiano nell’esercizio precedente. 

Idem per il successivo art. 6, che, prevedendo il medesimo impianto del precedente art. 5, utilizza la stessa modalità di copertura (ossia, mediante variazioni di bilancio).

2. Qualche considerazione metodologica.

Viene dunque in rilievo il punto 2 del “Considerato in diritto”, in ordine al quale emergono perplessità circa il modus procedendi della sentenza, il che finisce con il riflettersi sul dispositivo.

Anzitutto, si mescolano le motivazioni attinenti alle due norme impugnate, estendendo, per implicito, la ratio della norma di cui all’art. 5 a quella di cui all’art. 6.

Mentre infatti l’art. 5, comma 2, si richiama alla procedura di cui al citato decreto-legge n. 18, ciò non si rinviene per il successivo art. 6; sicché la motivazione della pronuncia viene riferita, senza ulteriore esplicitazione ovvero ulteriori distinzioni, anche all’art. 6, accomunando così in un discorso generale le due norme con un salto logico, per pervenire alla conclusione dell’insussistente violazione del parametro costituzionale, stante il ricorso, ritenuto legittimo, alla disciplina “agevolativa” di cui al decreto-legge n.18, che consentirebbe l’impiego a copertura di mezzi di bilancio ritenuti liberi (rectius, liberati per effetto dell’anticipo del recupero, sul piano di rientro dal disavanzo, della quota annuale operato nell’esercizio precedente).

         3. L’iter logico della pronuncia e i profili non esplicitamente affrontati dalla Corte.

         La Corte accomuna, dunque, per i due citati articoli della legge regionale, la risoluzione del ricorso disattendendo la prospettazione del Presidente del Consiglio secondo la quale le norme di copertura regionale di cui ai citati artt. 5 e 6, nel fare applicazione dell’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18 del 2020, presupporrebbero la redazione di un piano di rientro “particolareggiato”, come disciplinato dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 7 settembre 2020 (dodicesimo correttivo al d.lgs. n. 118/2011), allegato 4/2, paragrafi da 9.2.25 a 9.2.30 a dimostrazione della disponibilità di mezzi di bilancio a copertura di nuovi e maggiori oneri.

Appare utile ricordare che l’Avvocatura dello Stato aveva fatto presente che, “poiché la regione Abruzzo non ha approvato un piano di rientro dettagliato, che consenta la verifica dell’effettivo anticipo del recupero previsto e la sua determinazione, il suddetto art. 111, comma-bis, del decreto-legge n. 18 del 2020 non risulta applicabile e, conseguentemente, la copertura finanziaria di cui all’art. 5, comma 2, della legge regionale non risulta idonea, determinando un contrasto con l’art. 81, terzo comma, della Costituzione”.

Ebbene, sul punto, la Corte risolve la questione evidenziando che detto presupposto non trovava riscontro nell’ordinamento vigente al momento dell’entrata in vigore della legge regionale.

Nel disattendere la tesi del ricorrente Presidente del Consiglio nel senso ricordato, la motivazione della sentenza si focalizza dunque esclusivamente sulla questione preliminare concernente l’applicabilità o meno alla fattispecie della citata norma statale e non risolve però tutti i profili sottesi alla questione sollevata.

Rimangono non chiariti, per esempio:

  1. l’interpretazione dell’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18/2020;
  2. la portata normativa dei decreti ministeriali c.d. correttivi del d.lgs. n. 118/2011;
  3. la ricaduta di tali disposizioni sull’eventuale violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 81, terzo comma, Cost.;
  4. la norma di copertura di cui alla legge della Regione Abruzzo n. 20 del 2020.

a1) Con riferimento al primo profilo (l’interpretazione dell’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18/2020), la Corte ha, in premessa, fornito un’esegesi della locuzione contenuta in tale norma sostenendo che “con la finalità di indurre l’ente ad accelerare l’eliminazione del proprio disavanzo, il legislatore statale ha quindi consentito un effetto ampliativo della spesa – conseguente alla riduzione della quota di disavanzo da applicare al bilancio – legandolo però alla verifica che il migliore risultato conseguito nell’esercizio precedente consista nell’attuazione, in anticipo rispetto al cronoprogramma del piano già approvato, di specifiche misure correttive”. Tale disposizione qualificherebbe dunque – nel ragionamento della Corte – la quota anticipata rispetto alle quote annuali del piano di rientro quale “risorsa libera” di bilancio destinabile a copertura di nuovi o maggiori oneri[1].

In altre parole, la Corte si è trovata davanti ad un bivio circa la portata della disposizione statale: o la norma ha finalità acceleratoria, e dunque la quota anticipata non può ritenersi “libera”, in quanto la dizione della norma imporrebbe, comunque, che l’evento del maggior recupero del disavanzo possa determinare riflessi esclusivamente sui tempi già definiti nel cronoprogramma del piano di rientro, oppure la norma consentirebbe agli enti “virtuosi” di fare impiego dello scomputo della quota di ripiano dell’anno successivo per finalità compensative o di copertura di altri oneri.

Di fronte a questa alternativa la Corte ha optato per la seconda. 

Orbene, sul punto occorre prendere atto che né la lettera della norma né la documentazione a corredo (es. lavori preparatori) offrono sicuri indici ermeneutici per ritenere che la disposizione consenta “un effetto ampliativo della spesa”. Dagli atti preparatori si desume che “nello specifico, la norma dispone che il disavanzo di amministrazione ripianato nel corso di un esercizio finanziario per un importo superiore rispetto a quello applicato al bilancio può non essere applicato al bilancio degli esercizi successivi. Tale evenienza si ha nel caso in cui si determini un anticipo delle attività previste nel piano di rientro diretto ad assorbire detto indebitamento, riguardante maggiori accertamenti o minori impegni previsti in bilancio per gli esercizi successivi in attuazione del piano di rientro. In altri termini, nell’evenienza in cui l’ente proceda ad un ripiano del disavanzo superiore rispetto a quello previsto (sulla base del principio delle rate costanti) viene permesso all’ente “virtuoso” di recuperare tale effetto positivo sul piano di rientro già nell’esercizio successivo”[2]. Ma ancor più, la stessa relazione tecnica presentata dal Governo in Parlamento ha evidenziato che “la norma autorizza gli enti soggetti al titolo primo del d.lgs. n. 118 del 2011 che nell’esercizio precedente hanno anticipato l’attuazione del piano di rientro del proprio disavanzo e, conseguentemente, hanno ripianato un disavanzo maggiore di quello previsto in bilancio, a ridurre, per il medesimo importo, il disavanzo da ripianare nell’esercizio successivo, o negli esercizi successivi”. Conseguentemente, “la norma non determina effetti sui saldi di finanza pubblica in quanto, conformemente a quanto previsto dall’art. 1, commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018, la riduzione del disavanzo da ripianare comporta una corrispondente riduzione del risultato di amministrazione applicato al bilancio”[3].

Inoltre, come già anticipato, nella formulazione letterale della norma, non si rinviene la possibilità di utilizzare risorse libere, ma si vincola l’effetto migliorativo dell’anticipo al “sollievo” per gli “esercizi successivi” nell’ambito dell’iter di attuazione del piano di rientro concordato; si tratta, dunque, di una modulazione all’interno del piano di rientro, per cui viene data flessibilità all’ente di anticipare il rientro per sgravare le quote degli anni successivi, non per reperire risorse utili per la copertura di altri oneri. Significativo è al riguardo l’impiego, ad opera del legislatore, del plurale “esercizi successivi”, con il che appare evidente che la ratio legis è intesa a consentire un’eventuale rimodulazione del piano di rientro e non l’impiego delle risorse liberate a copertura di nuovi o maggiori oneri, opzione ermeneutica, quest’ultima, che avrebbe potuto avere un suo letterale fondamento solo ove il legislatore avesse previsto che la facoltà concessa all’ente fosse quella di “non applicare” il disavanzo al bilancio “dell’esercizio successivo” rispetto a quello in cui si sia riscontrato un ripiano del disavanzo per un importo maggiore rispetto a quello previsto nel cronoprogramma.

Peraltro, in linea puramente teorica, il ragionamento della Corte costituzionale avrebbe potuto aver maggior pregio laddove avesse inquadrato l’ipotesi della sopravvenienza di una risorsa libera (derivante dall’anticipo della quota del piano di rientro nell’esercizio precedente rispetto a quanto pianificato), come tale da ricondurre, ai sensi della vigente disciplina della contabilità armonizzata (art. 42 d.lgs. n. 118/2011), nell’avanzo di amministrazione; sicché, l’utilizzo di tale quota, subordinata al previo formale accertamento dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente (v. citato art. 42, comma 6, d.lgs. n. 118/2011), sarebbe stata, comunque, da ritenere, in via gradata, utilizzabile: a) per la copertura dei debiti fuori bilancio; b) per i provvedimenti necessari per la salvaguardia degli equilibri di bilancio previsti dalla legislazione vigente, ove non si potesse provvedere con mezzi ordinari; c) per il finanziamento di spese di investimento; d) per il finanziamento delle spese correnti a carattere non permanente; e) per l’estinzione anticipata dei prestiti. Sicché, non dall’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18 del 2020 si sarebbe potuto ritenere utilizzabile una rivenienza attiva di bilancio a copertura di nuovi o maggiori oneri, bensì dal sistema della contabilità armonizzata come disciplinata dal citato art. 42 del d.lgs. n. 118 del 2001 per le Regioni, oltre che dall’art. 187 del d.lgs. n. 267 del 2000 per gli enti locali.

In questa direzione, si è pronunciata la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 167/2021, laddove ha evidenziato che l’avanzo “libero” «non può essere inteso come una sorta di utile di esercizio, il cui impiego sarebbe nell’assoluta discrezionalità dell’amministrazione. anzi, l’avanzo di amministrazione “libero” delle autonomie territoriali è soggetto a un impiego tipizzato» (sentenza n. 138 del 2019). Infatti, l’art. 42, comma 6, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, per le regioni, e l’art. 187, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), per gli enti locali, stabiliscono, in maniera sostanzialmente coincidente, i possibili impieghi della quota libera dell’avanzo di amministrazione e il relativo ordine di priorità. 

Alla luce di quanto precede, la sentenza attribuisce dunque alla norma un significato che non trova riscontro nel tenore letterale della stessa né nella relativa interpretazione sistematica né infine negli atti preparatori di riferimento.

Il che, in conseguenza, inficia anche il dispositivo, se la premessa è fuori centro. 

b1) Venendo al secondo profilo (la portata normativa dei decreti ministeriali c.d. correttivi del d.lgs. n. 118/2011), dopo aver qualificato la citata disposizione di cui al ripetuto decreto-legge n. 18 del 2020, la Corte ha fatto presente che tale normativa “non prevede che debba essere approvato un piano di rientro dettagliato, come invece pretende la censura governativa”, con la conseguenza della non fondatezza della questione, evidenziando come la legge regionale oggetto di scrutinio fosse stata promulgata prima dell’entrata in vigore del d.m. del 7 settembre 2020 che, con i citati paragrafi da 9.2.25 a 9.2.30, ha introdotto una disciplina del piano di rientro dettagliato.

Tale ultima ratio decidendi non sembra persuasiva.

In realtà, la normativa di cui all’Allegato 4/2 – Principio contabile applicato, concernente la contabilità finanziaria, già disciplinava il piano di rientro, che, in quanto “piano” non può che avere carattere di dettaglio; e ciò in ossequio sia all’art. 42, comma 12, del d.lgs. n. 118/2011 per le Regioni (da ultimo definita “norma interposta” con sentenza n. 246/2021 della Corte costituzionale, quale espressione dell’esigenza di armonizzare i bilanci pubblici quanto allo specifico profilo della disciplina del disavanzo di amministrazione e della uniformità dei tempi del suo ripiano) che all’art. 188, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, per gli enti territoriali, secondo i quali “[i]l disavanzo di amministrazione può anche essere ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consiliatura, contestualmente all’adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. Il piano di rientro è sottoposto al parere del collegio dei revisori.”

Sicché, l’intervenuto dodicesimo correttivo – avente natura di fonte secondaria, e dunque subordinata alle citate norme primarie, art. 42 del d.lgs. n. 118/2011 e 188 del d.lgs. n. 267/2000 – non ha fatto altro che ulteriormente “dettagliare” o “concretizzare”, le modalità di stesura del piano senza però introdurre modifiche sostanziali in ordine ad un obbligo di gestione finanziaria equilibrata già vigente nell’ordinamento, cui è funzionale la redazione di un piano di rientro. 

L’intento dell’intervento correttivo ministeriale, in linea con la finalità di armonizzazione dei sistemi di redazione del bilancio preventivo e successivo di Regioni e di enti territoriali, era (ed è) quello omogenizzare la redazione dei piani di rientro per modo che i servizi finanziari dell’ente, da una parte, e il collegio dei revisori, dall’altra, si attengano a metodologie comuni e armonizzate per la stesura del piano a garanzia di una trasparente rappresentazione del piano nonché del risultato di amministrazione e in ultima analisi a salvaguardia degli equilibri di bilancio. Non bisogna poi dimenticare – ad onta delle successive superfetazioni di qualsivoglia natura – che la ratio primigenia dell’armonizzazione consisteva nella predisposizione di quadri dei vari sottosettori della finanza pubblica strutturati in maniera omogenea, in modo tale da dar luogo ad un quadro coerente di grandezze finanziarie su cui si potessero calare gli obiettivi programmatici relativi al conto consolidato delle pubbliche amministrazione, termine di riferimento per l’attuazione delle decisioni eurounitarie allora in progress e dopo ulteriormente sviluppate, secondo gli schemi dei vari SEC, sulla base di un indirizzo già manifestatosi con chiarezza con la legge n. 208 del 1999. Tanto è vero, che con la riforma costituzionale del 2012, l’ambito materiale dell’”armonizzazione” è stato assegnato alla competenza esclusiva dello Stato.

Orbene, la ratio decidendi della sentenza all’esame, che sembra distinguere un prima e un dopo rispetto all’entrata in vigore del d.m. 7 settembre 2020 per dirimere una questione di legittimità costituzionale riferita all’art. 81, terzo comma, Cost., si rivela insufficiente e riduttiva, in quanto – in modo privo di sistematicità – àncora il rispetto del citato parametro costituzionale alla mutevole disciplina dell’armonizzazione contabile (rimane, oltretutto, non indagata la natura giuridica dei decreti ministeriali così detti correttivi giunti, dalla emanazione del d.lgs. n 118/2011 al tredicesimo correttivo), disciplina che, nella prospettazione della Corte, finirebbe per costituire un complesso di norme interposte del precetto costituzionale che prevarrebbe sulla fonte legislativa primaria tanto statale quanto regionale[4].

D’altro canto, la stessa sentenza qui in esame (punto 2.1. del diritto) evidenzia come il nuovo paragrafo 9.2.25, contenga una previsione “diretta a consentire una più agevole verifica dell’importo del disavanzo ripianato annualmente, con precisi effetti, stabiliti nei paragrafi successivi, sia nel caso di mancato recupero delle quote da ripianare – che l’ente deve infatti aggiungere a quelle già previste per l’esercizio in corso – sia, in senso inverso, quando l’ente, oltre a ripianare la quota prevista nell’esercizio, abbia anche anticipato l’attuazione delle ulteriori misure programmate dal piano”.

Talché, rimane impregiudicato che, anche nella logica della contabilità armonizzata, e sulla base della disciplina già vigente al momento della promulgazione della legge della Regione Abruzzo, il piano di rientro (in quanto tale) ha comunque connotazione particolareggiata.

Al riguardo, va ricordato che i decreti c.d. “correttivi” trovano fondamento nell’art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 118 del 2001, ai sensi del quale i principi contabili applicati sono aggiornati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, di concerto con il Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali e la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali, su proposta della Commissione per l’armonizzazione contabile degli enti territoriali di cui all’art. 3-bis del medesimo d.lgs. n. 118 del 2011. Ebbene, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 3 i principi contabili applicati “garantiscono il consolidamento e la trasparenza dei conti pubblici secondo le direttive dell’Unione europea e l’adozione di sistemi informativi omogenei e interoperabili”. Nella sostanza, si tratta dunque di un complesso di norme e istruzioni tecniche, da modulare in relazione alle mutevoli esigenze di uniformità delle scritture contabili, rivolte ai responsabili dei servizi finanziari, ai revisori dei conti e in generale agli operatori del settore allo scopo di “rendere i bilanci delle amministrazioni aggregabili e confrontabili” e di “soddisfare […] esigenze informative connesse a vari obiettivi quali la programmazione economico-finanziaria, il coordinamento della finanza pubblica, la gestione del federalismo fiscale, le verifiche del rispetto delle regole comunitarie, la prevenzione di gravi irregolarità idonee a pregiudicare gli equilibri dei bilanci” (Corte cost., sentt. n. 80/2017; n. 184/2016)[5].

Ne discende che la normazione tecnica propria dei “principi contabili applicati”, riservata ai decreti c.d. “correttivi”, presuppone una loro stretta coerenza con i “principi contabili generali” stabiliti dalla fonte primaria divenendone una più chiara esplicitazione; sicché, ammettere una prevalenza dei primi (“principi contabili applicati”) sui secondi (“principi contabili generali”) determinerebbe un capovolgimento dello stesso sistema dell’armonizzazione che, per un verso, mantiene una sua stabilità nell’enunciazione dei principi contabili generali e, per altro verso, ne consente un aggiornamento costante in relazione alle variabili esigenze di adattamento alle crescenti esigenze di trasparenza e di confrontabilità delle scritture contabili. Diversamente opinando, la “micro gerarchia”[6] delle fonti dell’armonizzazione configurata, nell’art. 3 del d.lgs. n. 118/2001, dalla coppia fonte primaria/fonte secondaria, potrebbe risultare alterata, laddove si ammettesse che la seconda possa ampliare o esorbitare dai confini della prima. Non senza considerare che la fonte secondaria, di per sé, non è assoggettabile a scrutinio di legittimità costituzionale (art. 134, primo comma, Cost.[7]

In ciò sostanziandosi la ratio della disciplina di aggiornamento dei principi contabili applicati (prevista dal d.lgs. n. 118/2011), non può ragionevolmente inferirsi una prevalenza di tale disciplina di dettaglio tecnico-contabile sui principi contabili generali che di essi costituiscono il presupposto, senza alterare non solo il complesso sistema dell’armonizzazione fondato sulla coppia “principio e suo continuo aggiornamento” ma anche l’assetto della gerarchia delle fonti concepito sul rapporto fonte primaria/fonte tecnico-amministrativa.

C1) Ma a ben vedere, non è questo il profilo più rilevante. Venendo infatti al precedente punto c), ossia alla ricaduta di tali disposizioni sull’eventuale violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., la questione centrale sta nel fatto che la sentenza respinge il ricorso per una mera questione temporale circa la presunta insussistenza, all’epoca del varo della norma regionale, di un obbligo di piano di rientro dettagliato, con ciò perdendo il focus della questione. 

Con il respingimento del ricorso si pongono qui due questioni.

Da un lato, la pronuncia omette di affrontare gli essenziali profili comunque sottesi ad una questione incentrata sulla mancata osservanza della metodologia della copertura; dall’altro (e soprattutto), ove mai le risorse da maggior rientro fossero disponibili (il che non risulta confermato da alcuna fonte, come si è visto), si finisce con l’avallare ex lege una modalità di copertura a carico di sopravvenienze di bilancio. 

1) Iniziando dal primo problema, come più volte enunciato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, la questione di costituzionalità riferita all’art. 81, terzo comma, Cost. trova nello stesso parametro costituzionale la sua compiuta disciplina[8].

È nota la peculiare caratteristica della “clausola di copertura”[9], definibile quale norma sui generisassimilabile alla c.d. “legge provvedimento”, dal momento che essa deve: a) esplicitare la morfologia giuridica dell’onere (es., annuale o continuativo, obbligatorio o discrezionale), b) quantificarlo (attraverso la redazione di una puntuale relazione tecnica) per tutta la sua durata, c) individuare il mezzo (che deve essere credibile, sufficientemente sicuro, non arbitrario o irrazionale, sent. n. 238/2018, n. 70/2012, nn. 106 e 68/2011, nn. 141 e 100/2010, n. 213/2008, n. 384/1991 e n. 1/1966).

La questione sollevata dalla Presidenza del Consiglio e la sua risoluzione da parte della Corte lasciano in ombra proprio i (predetti) caratteri che connotano la norma di copertura.

Come anticipato, nella specie non era dunque dirimente la sussistenza o meno del piano di rientro dettagliato o particolareggiato. Di fronte ad una fattispecie extra ordinem, ossia la sopravvenienza di mezzi aggiuntivi di bilancio a legislazione vigente, dirimente doveva essere, invece, in primis la dimostrazione della sussistenza, in relazione all’onere da coprire e alla sua quantificazione (su cui infra), della disponibilità del mezzo di copertura, individuato, nella specie, in sopravvenute maggiori disponibilità di bilancio.

E tale dimostrazione può essere desunta direttamente dalla formulazione della norma di copertura nonché dalla relazione tecnica di accompagno al provvedimento legislativo (definita scheda tecnica per le leggi regionali)[10], che, però, per la legge di bilancio,[11] si rivela, nei fatti, totalmente carente.

In altre parole, ai fini del rispetto dell’obbligo di copertura (in riferimento alla fattispecie oggetto della sentenza), non rileva tanto che il piano di rientro sia o meno particolareggiato, ma che il mezzo impiegato, nella specie di bilancio, sia disponibile a fini di copertura del nuovo o maggiore onere previsto dalla legge (statale o regionale); diversamente, la norma si porrebbe in contrasto con il parametro costituzionale (sia pur trattandosi di una fattispecie del tutto particolare, ossia la sopravvenienza attiva di mezzi finanziari, e quindi al di fuori dell’ipotesi generale non ammessa dall’art. 17, l. 196 del 2009 – disposizione ritenuta dalla Corte costituzionale quale norma direttamente attuativa dell’art. 81, terzo comma, Cost. – di una copertura con mezzi di bilancio di nuovi o maggiori oneri). 

A tal fine, soccorre (anche) la relazione tecnica, posta a corredo informativo della legge, a dimostrazione della disponibilità del mezzo di copertura di cui la legge (statale o regionale) fa impiego. Nella specie, la medesima Relazione tecnica avrebbe dovuto dare dimostrazione che il c.d. anticipo della quota rispetto al delineato piano di rientro del disavanzo era effettivamente da qualificare quale quota libera.

Alla luce di quanto precede, la questione avrebbe dovuto dunque essere risolta non tanto in relazione al fatto che il decreto ministeriale circa il piano di rientro particolareggiato era entrato in vigore dopo la legge regionale, quanto sulla base dei predetti criteri in relazione ai quali, in tutti i casi, la norma di copertura deve essere scrutinata, il che non è avvenuto.

Orbene, quanto alla relazione tecnica, la scheda posta a corredo del progetto di legge n 132/2020 (consultabile sul sito del Consiglio della Regione Abruzzo), poi divenuta legge n. 20 del 2020 non reca alcun elemento informativo utile a dimostrare la disponibilità delle risorse “liberate” dal piano di rientro a fini di copertura.

La deliberazione n. 310/2021/RQ “Approvazione relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri delle leggi regionali anno 2020” della Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione Abruzzo (ai punti 8.14 e 8.20) si limita a rilevare che “non risulta che la Regione abbia approvato un piano di rientro dettagliato, che consenta la verifica dell’effettivo anticipo del recupero previsto e la sua determinazione”, riprendendo il citato ricorso del Governo del 30 settembre 2020 risolto con la sentenza in commento.

Quindi l’apparato documentale a dimostrazione dell’effettività della copertura nella specie non poggiava né sulla relazione tecnica alla legge regionale, né sul piano di rientro dal disavanzo, né risultava da risultanze contabili parificate, atteso che solo con la deliberazione n. 4/2021/PARI la Corte dei conti, Sezione di controllo per l’Abruzzo ha parificato il rendiconto 2019[12].

Invero, una lettura “sostanziale” del ricorso governativo avrebbe potuto valorizzare l’insussistenza di sufficienti elementi informativi intesi a illuminare la reale disponibilità delle risorse di bilancio cui la legge regionale n. 20 del 2020 ha fatto riferimento quale mezzo di copertura; diversamente, la Corte ha ritenuto dirimente la “formale” redazione del piano di rientro dettagliato, sebbene non in aderenza alle modalità indicate nei citati paragrafi dell’Allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011, poiché introdotti successivamente alla promulgazione della legge regionale, per concludere nel senso del rispetto dell’obbligo di copertura.

2) Quanto al secondo problema, ossia l’ammissibilità, con la sentenza, di una copertura a carico di sopravvenienze di bilancio, si tratta di una conclusione che si pone comunque fuori dal sistema delle coperture di cui all’art.17 della legge di contabilità, che si applica notoriamente anche alle regioni (ex multis, Corte cost., sentt. n. 163/2020; n. 307/2013).

Ciò per vari motivi. Anzitutto l’elenco delle coperture ammissibili in base a tale art. 17 è tassativo, dal che si desume che altri tipi di copertura sono non coerenti con la norma costituzionale di copertura, dal momento che l’art. 17, nell’alinea, si pone espressamente come disposizione attuativa di tale norma costituzionale (“1. In attuazione dell’art. 81 della costituzione […]”, come evidenziato dalla Corte cost., sent. n. 224/2014). 

In secondo luogo, è la stessa copertura a bilancio che si pone fuori sistema, giacché il precetto costituzionale di copertura fa riferimento ad una norma primaria quale fonte di risorse, sia essa di carattere interno al bilancio (riduzione di autorizzazione di spesa in essere) ovvero di carattere esterno (nuova o maggiore entrata), ai fini della copertura di un onere contestualmente fissato con norma primaria equipollente. 

In terzo luogo, che non si possano usare a copertura mere sopravvenienze di bilancio in termini di maggiori entrate lo esplicita la stessa richiamata disposizione di cui all’art. 17, quando, alla lettera c) del comma 1, àncora la maggiore entrata ad una modifica legislativa e al comma 1-bis fissa che “le maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate e sono finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica”. Laddove la seconda disposizione è meramente ripetitiva della prima, a conferma, comunque, che lo scopo di questa normativa è evidente: evitare che si possano utilizzare a copertura gli effetti di fluttuazioni di bilancio di segno positivo (per miglioramento del ciclo economico, essenzialmente) la cui sostenibilità molto probabilmente è inferiore a quella della certezza dell’onere nuovo o maggiore da coprire.

All’eventuale obiezione secondo cui ciò riguarda formalmente la copertura sulle maggiori entrate e non le minori spese, si può agevolmente rispondere nel senso che, anzitutto, si può ritenere nel sistema – previsto sul versante delle entrate – l’obbligo di evitare di utilizzare a copertura mere sopravvenienze di bilancio, per intuibili ragioni di prudenza. In secondo luogo, soccorre in tal senso la ricostruzione della soppressione della norma della legge di contabilità del tempo (la legge n. 468 del 1978, e successive modifiche ed integrazioni, ad opera soprattutto della legge n. 362 del 1988) che prevedeva, tra le possibilità di copertura, il poter far riferimento a minori spese di bilancio che si dovessero appalesare in corso esercizio (e a determinate, altre condizioni)[13].

Non casualmente peraltro tale norma, all’epoca soppressa, non entrò a far parte del sistema delle coperture di cui alla successiva legge di contabilità n. 196 del 2009 e successive modifiche ed integrazioni.

In sostanza, la sopravvenienza di risorse, sia sul lato delle maggiori entrate che su quello delle minori spese, senza un fondamento normativo non costituisce valida copertura, per motivi di prudenza anzitutto. 

A questo riguardo, la stessa Corte costituzionale – ancora una volta, nella sentenza n. 226/2021 – ha ricordato che l’art. 17 della legge n. 196 del 2009, al comma 1, prevede quali “esclusive modalità di copertura finanziaria” delle spese l’utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali; la riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa; le modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate.

d1) quanto al quarto punto (la norma di copertura di cui alla legge della regione Abruzzo n. 20 del 2020), come si è visto, la pronuncia sembra fermarsi alla verifica della sussistenza o meno del presupposto su cui ruota il ricorso, e cioè della sussistenza o meno di un piano di rientro dettagliato, senza, però, entrare nel merito dell’operazione contabile che l’art. 5, comma 2, (nonché per rinvio implicito anche l’art. 6) realizza, sussistendone i presupposti.

Infatti, come sopra evidenziato, i profili di scrutinio della norma di copertura in generale non si arrestano all’esame del “mezzo” (di copertura).

In altre parole, la possibilità di utilizzare a copertura di nuovi oneri (rectius, compensando “con mezzi interni” di copertura) il maggior rientro non avrebbe dovuto esimere dal verificare la legittimità dell’operazione contabile circa la previsione dell’onere e della sua copertura. 

Solo il necessario vaglio di questi profili ulteriori avrebbe potuto far concludere hic et nunc, in modo esaustivo, che la norma in questione rispettasse i parametri costituzionali e ordinamentali che presiedono al corretto assolvimento dell’obbligo di copertura, il che è mancato e si è riflesso nel fatto che alla fine si è respinto il ricorso, con ciò avallando non solo una libertà di utilizzo delle risorse derivanti dal rientro accelerato quale non trova sostegno nel sistema, come prima si è argomentato, ma considerando, sic et simpliciter, e dunque senza i necessari approfondimenti, coerente con l’obbligo costituzionale di copertura una compensazione su (peraltro presunte) sopravvenienze attive e dunque su mezzi di bilancio. 

Da questo secondo punto di vista (non indagato dalla Corte, sebbene dovesse ritenersi riconducibile al thema decidendum introdotto dal ricorso governativo, atteso che l’obbligo di copertura ove contestato esige, per le ricordate caratteristiche che lo connotano, uno scrutinio a tutto tondo), la conclusione non cambia alla luce del dato di fatto per cui la norma della Regione Abruzzo sembra in effetti limitarsi a prevedere l’onere e la relativa compensazione nell’ambito del medesimo esercizio (2020), in coerenza dunque con il mezzo annuale di copertura, non inducendo peraltro a una dequalificazione della spesa per il fatto che la finalità del nuovo onere si riferisce a “disposizioni a sostegno dei Comuni per interventi urgenti conseguenti ad avversità atmosferiche e per l’adeguamento delle infrastrutture urbane”, ossia a finalità di parte capitale. Ciò oltretutto per il cennato profilo del mancato accertamento ovvero della mancata verifica della effettività delle risorse connesse all’accelerazione del rientro, a parte le questioni metodologiche più generali prima evidenziate (coperture su sopravvenienze di bilancio).

4. Un approfondimento sulla presunta neutralità delle norme interessate.

Circa poi la sussistenza o meno di profili di aggravio della finanza pubblica, un’osservazione va svolta sia in riferimento alla norma di cui al decreto-legge n. 18 che a quella della Regione Abruzzo oggetto direttamente della sentenza. 

Da quest’ultimo punto di vista la Corte conclude, al punto 2.3 del “Considerato in diritto”, nel senso che “né sono fondati gli ancillari profili di censura che, sempre in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., lamentano sia la produzione di effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, sia il pregiudizio agli equilibri finanziari del bilancio regionale. infatti, una volta esclusa l’inidoneità della descritta modalità di copertura finanziaria a contrastare con l’evocato parametro costituzionale, non appaiono configurabili né ripercussioni sul disavanzo di amministrazione e sul percorso di recupero delineato dal piano di rientro, né vulnera agli equilibri finanziari del bilancio regionale”.

Dal primo punto di vista (ossia, in riferimento al decreto-legge n.18), si ricorderà che la riportata relazione tecnica del Governo non ascriveva alla norma interessata effetti negativi sulla finanza pubblica. Anche qui sovviene la necessità di fare chiarezza. 

La norma statale non è priva – invece – di effetti sulla finanza pubblica. 

Infatti, rispetto alla legislazione vigente si ha un effetto di miglioramento il primo anno, derivante dal maggior rientro del singolo ente che utilizzi la possibilità in tal senso, e un peggioramento, sempre rispetto al profilo a legislazione vigente, negli anni successivi, speculare ovviamente al miglioramento, per tutti gli esercizi in cui si spalma l’effetto di detto miglioramento di un esercizio. Ciò semplicemente per il sempre più spesso negletto principio di annualità, di cui all’art. 81, quarto comma, Cost.

Quanto poi alla norma della regione Abruzzo, la riportata conclusione di cui al punto 2.3 della sentenza non coglie l’effetto del pregiudizio agli equilibri finanziari del bilancio regionale, che egualmente rimane non peggiorato nell’esercizio dell’anticipo del rientro, ove i proventi vengano spesi, ma peggiora specularmente negli anni successivi, proprio perché, rispetto alla legislazione vigente, si ha un minor recupero rispetto a quanto incorporato nei saldi tendenziali. 

5. Conclusioni.

Per concludere, rimane problematica sia la tranciante opzione ermeneutica formulata dalla Corte circa la sicura qualificazione della disposizione di cui all’art. 111, comma 4-bis, del d.l. n. 18 del 2020 quale norma da ascrivere – indirettamente – nel novero di quelle di copertura, sia la rilevanza giuridica assegnata dalla Corte medesima ai decreti ministeriali correttivi, segnatamente ai fini dello scrutinio di costituzionalità di una norma di legge in relazione al parametro costituzionale.

Sotto altro profilo, si evidenzia che la pretesa violazione del parametro costituzionale (art. 81, terzo comma, Cost.) da parte di una norma di copertura sconta, comunque, la peculiare conformazione di tale tipologia di previsione legislativa, che – come si è visto – presenta caratteristiche sui generis; sicché, in tal caso, il contrasto con la norma costituzionale non può essere individuata e valutata con un semplice raffronto alla stregua di una regola di non contraddizione tra “contenuto” della norma parametro e “contenuto” della norma di copertura impugnata, occorrendo, in via preliminare, un’indispensabile valutazione in concreto[14] di quest’ultima in relazione alle specifiche caratteristiche dell’onere da coprire.

Ebbene tali elementi di fatto che avrebbero potuto consentire un pieno scrutinio della norma regionale non erano in concreto disponibili, mancando il piano di rientro dal disavanzo idoneo a dimostrare l’an e il quomodo della sopravvenienza di una risorsa libera nonché la parificazione del rendiconto 2019, intervenuta solo nel gennaio 2021. Al momento dell’approvazione della legge regionale, non si aveva cioè contezza e certezza della effettività della sopravvenienza. Né – come si è visto – di tale sussistenza risultavano conclusive evidenze, trattandosi di una legge regionale sui generis, ossia quella di approvazione del bilancio di previsione per la quale – come è noto – la relazione tecnica è sovente omessa ovvero risulta del tutto carente, come prima accennato.

Altro aspetto da aggiungere – e di carattere invero pregiudiziale – consiste nel chiarire se la questione, per come sollevata dal Presidente del Consiglio, dovesse ritenersi necessariamente delimitata alla sussistenza o meno del piano di rientro particolareggiato o se la Corte potesse ritenersi chiamata a esaminare la questione nella sua prospettazione più ampia, e cioè se la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost. ad opera della norma regionale fosse effettivamente sussistente.

Probabilmente quest’ultima sembra l’ipotesi più plausibile, in quanto, in definitiva, il dubbio del Governo era che la norma fosse sostanzialmente priva di copertura, senza che il thema decidendum potesse ritenersi necessariamente delimitato dal profilo[15] indicato nel ricorso governativo consistente – come si è visto – nel ritenuto carattere dirimente della sussistenza o meno del vincolo introdotto da un decreto ministeriale, e cioè la redazione di un piano di rientro da particolareggiato, tant’è che la stessa Corte riconosce, nella specie, la sussistenza, per logicità intrinseca, di “ancillari profili di censura” (cfr. il citato punto 2.3 del diritto della sentenza in commento).

In buona sostanza il dubbio del ricorso governativo era che, al di là di quanto affermato nella legge regionale, la risorsa di bilancio già vincolata al piano di rientro fosse effettivamente da ritenere svincolata per effetto dell’intervenuto anticipo nell’anno precedente e dunque idonea a costituire sicuro mezzo di copertura.

E il dubbio è stato chiarito dalla Corte nel senso della libertà di utilizzo, senza però che siano stati accertati né il fondamento di tale interpretazione né i successivi risvolti, in termini di ammissione di una copertura a bilancio su sopravvenienze e senza previo o contestuale accertamento – da parte di alcun attore istituzionale coinvolto nella vicenda – circa l’effettiva disponibilità delle risorse derivanti dall’anticipo del rientro.


[1] Nel caso di specie, l’anticipo della quota sarebbe pari a euro 8.458.812,91; sicché, l’utilizzo a copertura sarebbe solo una parte di detto importo e cioè euro 3 milioni.

[2] Cfr. il Dossier congiunto Senato della Repubblica e Camera dei deputati dell’11 aprile 2020 “Misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 cd. “Cura Italia, Volume II – Articoli 71-127, d.l. 18/2020 A.C. 2463, p. 309.

[3] Ad adjuvandum si può citare la Commissione Arconet, la quale ha ritenuto, nella Faq n. 40 del 1 luglio 2020, come l’articolo 111 comma 4-bis del d.l. n. 18 del 2020, coordinato con la legge di conversione 24 aprile 2020 n. 27, quando fa riferimento al disavanzo ripianato per un importo superiore a quello applicato al bilancio indica quello ripianato nel corso di un esercizio, intendendo riferirsi a quello precedente, per consentire agli enti, in sede di approvazione del bilancio di previsione, o di variazione del bilancio, di applicare come “Ripiano disavanzo” un importo ridotto del maggiore recupero, come definito dalla norma. La norma detta la corretta modalità di determinazione del maggior recupero considerando solo quello che può essere riferito ai maggiori accertamenti o ai minori impegni previsti per l’attuazione del piano di rientro approvato. L’applicabilità della norma pertanto presuppone che gli enti abbiano approvato un piano di rientro che individui le attività da adottare annualmente e preveda i relativi maggiori accertamenti o minori impegni. Solo l’approvazione di un piano di rientro così dettagliato garantisce infatti la verifica dell’effettivo anticipo del recupero previsto e la sua determinazione. La norma non si applica al ripiano del disavanzo da riaccertamento straordinario dei residui di cui all’art. 3, comma 7, del d.lgs. 118 del 2011, che non è correlato ad un piano di rientro. In conclusione, la procedura agevolativa viene applicata qualora sia stato redatto un piano di rientro analitico, piano non previsto per l’eventuale disavanzo da riaccertamento straordinario che rimane quindi escluso dall’applicazione del nuovo articolo”.

[4] Si noti incidentalmente al riguardo che detti decreti ministeriali neppure risultano sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, laddove dovessero essere qualificati quali atti normativi a rilevanza esterna (art. 3, comma 1, lett. c), l. n. 20/1994).

[5] Tessaro T., Simonetto M., Equilibri del bilancio “armonizzato” e pareggio di bilancio nelle verifiche degli organi di controllo, Napoli 2020, p. 20.

[6] Sul c.d. sistema delle fonti e micro-sistemi, si veda Passaglia P Le fonti del diritto, i diritti e i doveri costituzionali e gli organi di garanzia giurisdizionale, in Manuale di diritto costituzionale italiano ed europeo, (a cura di) Romboli R., vol. II, 4a ed., Torino, 2021.

[7] Si tratta – come è noto – di un tema molto vasto e dalle profonde implicazioni che non può essere qui approfondito.

[8] Da ultimo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 226/2021, ha riaffermato che il canone costituzionale dell’art. 81, terzo comma, Cost. «opera direttamente, a prescindere dall’esistenza di norme interposte» (ex plurimis, sentenza n. 26/2013), applicandosi immediatamente anche agli enti territoriali ad autonomia speciale.

[9] Corte dei conti, Sez. autonomie, delib. 08/SEZAUT/2021/INPR Linee di orientamento per le relazioni annuali sulla tipologia delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri delle leggi regionali. In dottrina, Forte C., Pieroni M., Ancora in tema di copertura finanziaria di leggi onerose: la sentenza n. 72 del 2021, in www.forumcostituzionale., 2021, n. 3.

[10] Al riguardo, la Corte costituzionale ha affermato che: – per l’effettuazione dello scrutinio di legittimità costituzionale è necessario disporre di tutti gli elementi informativi richiesti dalla legge, primo fra tutti, la “relazione tecnica” (sent. n. 26/2013); – anche il legislatore regionale è chiamato al rispetto dell’obbligo (art. 17, in quanto richiamato dall’articolo 19 della legge n. 196 del 2009) di redigere una relazione tecnica giustificativa degli stanziamenti di bilancio ed illustrativa delle modalità dinamiche attraverso le quali qualsiasi sopravvenienza possa essere gestita in ossequio al principio dell’equilibrio del bilancio (sent. n. 26/2013; n. 313/1994); – il principio di copertura, ha natura di precetto sostanziale, cosicché ogni disposizione, che comporta conseguenze finanziarie di carattere positivo o negativo deve essere corredata da un’apposita istruttoria e successiva allegazione degli effetti previsti e della relativa compatibilità con le risorse a disposizione – nel caso di norme a regime, come quello di specie, dette operazioni devono essere riferite sia all’esercizio di competenza che a quelli successivi in cui le norme esplicheranno effetti (sent. n. 224/2014). 

[11] Come da tempo sottolinea, ad esempio, per la legge di bilancio dello Stato, la Corte dei conti nelle varie relazioni quadrimestrali sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri recati dalla legislazione statale riferite al periodo settembre-dicembre di ogni anno, e in riferimento, in particolare, alla sessione di bilancio ed ai relativi aspetti ordinamentali, laddove si mette in luce, in estrema sintesi, che l’eccessiva sinteticità del documento di cui alla relazione tecnica in riferimento alla componente tendenziale significa l’impossibilità di fatto di ricostruire le determinanti di dettaglio del quadro a legislazione vigente, su cui si innesta la manovra correttiva. Tale deludente stato di cose peggiora per le leggi di bilancio delle regioni e per la relativa componente tendenziale.

[12] Al riguardo, la sentenza in commento si limita a rilevare che “l’importo del miglioramento conseguito al termine dell’esercizio rispetto alle previsioni non è stato oggetto di osservazioni da parte della sezione regionale di controllo per l’Abruzzo della Corte dei conti nell’ambito del giudizio di parificazione del rendiconto generale 2019 (decisione 25 gennaio 2021, n. 4/2021/PARI, punti 5 e 7)”, valorizzando, come attendibili – ma senza un persuasivo scrutinio – esclusivamente le “autocertificazioni” rinvenibili: a) in due deliberazioni consiliari di approvazione dei piani di rientro [in realtà la sentenza cita espressamente solo la deliberazione consiliare del 27 dicembre 2019 verbale n. 22/2] che avrebbero vincolato l’ente a «destinare prioritariamente ogni risorsa libera di bilancio alla copertura della quota annuale del disavanzo», specificando che negli esercizi 2019-2021 tale quota annuale venisse finanziata «con una contrazione della spesa corrente» [evidenza che, invero, nulla aggiunge circa la reale disponibilità di quota di ripiano poiché anticipata nell’anno precedente]; b) nella relazione sulla gestione dell’esercizio 2019 – allegata alla deliberazione della Giunta regionale della Regione Abruzzo 30 giugno 2020, n. 363/C (Disegno di legge regionale recante: “Rendiconto generale per l’esercizio 2019”, peraltro non ancora approvato dal Consiglio regionale) – che attesterebbe l’avvenuto conseguimento sia dell’obiettivo di ripianamento della quota annuale appostata nel bilancio di previsione, sia del recupero dell’ulteriore importo [con rifermento a tale secondo documento, vale osservare che detto disegno di legge concernente il Rendiconto regionale, non aveva ancora formato oggetto di parifica e dunque non poteva di per sé ritenersi persuasivo elemento comprovante la sussistenza della copertura con mezzi di bilancio; va aggiunto che la sopravvenuta parifica del rendiconto da parte della Sezione regionale della Corte dei conti, come evidenziato dalla stessa Corte costituzionale, non si esprime in modo puntuale al riguardo; la qual cosa non può di per sé ritenersi “risultanza” idonea a fornire evidenza della sussistenza di una risorsa libera da impiegare a copertura di nuovi oneri].

[13] il testo della disposizione era il seguente: “a carico o mediante riduzione di disponibilità formatesi nel corso dell'esercizio sui capitoli di natura non obbligatoria, con conseguente divieto, nel corso dello stesso esercizio, di variazioni volte ad incrementare i predetti capitoli. ove si tratti di oneri continuativi pluriennali, nei due esercizi successivi al primo, lo stanziamento di competenza dei suddetti capitoli, detratta la somma utilizzata come copertura, potrà essere incrementato in misura non superiore al tasso di inflazione programmato in sede di relazione previsionale e programmatica. a tale forma di copertura si può fare ricorso solo dopo che il governo, abbia accertato, con la presentazione del disegno di legge di assestamento del bilancio, che le disponibilità esistenti presso singoli capitoli non debbono essere utilizzate per far fronte alle esigenze in integrazione di altri stanziamenti di bilancio che in corso di esercizio si rivelino sottostimati. in nessun caso possono essere utilizzate per esigenze di altra natura le economie che si dovessero realizzare nella categoria "interessi" e nei capitoli di stipendi del bilancio dello stato. le facoltà di cui agli articoli 9 e 12, primo comma, non possono essere esercitate per l'iscrizione di somme a favore di capitoli le cui disponibilità siano state in tutto o in parte utilizzate per la copertura di nuove o maggiori spese disposte con legge”. essa fu abrogata dall’art. 1-bis del decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323, nel testo aggiunto dalla relativa legge di conversione.

[14] Cerri A., Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2004, p. 114.

[15] Cerri A., op. cit., p. 116; 193.

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